BMCR 2006.12.17

L’immaginario del potere. Studi di iconografia monetale

, L'immaginario del potere : studi di iconografia monetale. Scienze documentarie ; 1. Roma: G. Bretschneider, 2005. x, 279 pages, 22 pages of plates : illustrations ; 24 cm.. ISBN 8876891935. €150.00.

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Il volume raccoglie gli studi di autori vari, che partecipano a un ambizioso progetto scientifico, finalizzato a realizzare il Lexicon Iconographicum Numismaticae : questa miscellanea costituisce una fase preparatoria, o meglio, una tappa intermedia. Sono coinvolte quattro unità di ricerca (specificamente nelle università di Messina, Bologna, Genova e Milano), che si sono dedicate a tematiche omogenee, legate alla raffigurazione dell’autorità politica sulle monete greche e romane in varie epoche e circostanze storiche. Una premessa comune a tutte queste ricerche è la convinzione che le tipologie monetali non dipendano da libere aspirazioni artistiche né da scelte accidentali, ma da una consapevolezza politica improntata alla propaganda (di parte monarchica, aristocratica o democratica). Si propone pertanto un approccio “di tipo analogico, basato sul parallelismo fra linguaggio iconico e linguaggio parlato” (p. 2).

M. Caccamo Caltabiano si sofferma sulle immagini monetali adoperate in funzione propagandistica dalle tirannidi siceliote. Il contributo concerne in particolare il tipo iconografico del “cavaliere”, che rappresenta un modello di eroismo “con un ampio ventaglio di significati […] da quello del guerriero illustre al semidio” (p. 4). L’area siciliana è tra le prime a registrare la comparsa di questa figura, di cui ricorrono tre varianti: il cavaliere cacciatore o guerriero, il cavaliere amphippos (con due cavalli), il cavaliere apobates (che scende cioè da cavallo). La prima di tali immagini, che si ispira alla tradizione iconografica delle “cacce reali” esposte dalle monarchie orientali a esaltazione della propria virtù non esclusivamente cinegetica, ma anche militare, si trova sulle monete di Gela. A Siracusa invece la celebrazione dell’autorità politica assume la forma della vittoria agonistica, a cui è associata la quadriga. Si riscontra una precisa gerarchia semantica: se il tiranno si identifica con l’auriga, il secondo posto è occupato dal cavaliere amphippos, che richiama il mito dei Dioscuri e, sul piano propriamente politico-istituzionale, ha il compito di affiancare il capo; si tratta infatti di suo fratello, l’erede designato nel caso di un suo prematuro decesso, fino a quando i figli diventino maggiorenni. Il giovane destinato a succedere al potere riveste il ruolo simbolico di “salvatore”, incarnato dal cavaliere-fanciullo apobates, che scende da cavallo. Questa immagine è sottoposta a una forte idealizzazione, quasi una trasfigurazione “mistica”, nella misura in cui è impegnata nella lotta “per una grande causa”, quale la salvazione della patria (p. 24).

D. Castrizio studia il tipo iconografico dell’eroe-fondatore o eponimo, caratterizzato come “stratego” o “guerriero”, cospicuamente presente nell’immaginario tradizionale del mondo magnogreco nei secoli V-III a. C. Lo studioso si sofferma sui “vari segni di comando militare” posti sull’elmo. Un distinguo sottile, inevitabilmente ambiguo, è tracciato in un primo momento tra il vero e proprio guerriero e lo stratego in senso stretto; salvo che poi si precisa a buon diritto che il “codice figurativo del tempo non era in grado di differenziare un re indigeno da uno stratego o da un ecista” (p. 33): si tratta infatti di caratteri spesso coesistenti nel medesimo personaggio fin dal sostrato mitico, che impronta il codice figurativo. L’iconografia monetale in questione deriva dalla Calcidica e si diffonde con caratteristiche nuove in Magna Grecia, in relazione con le leggende di fondazione ed eponimia. Sulla connotazione militare di tali figure eroiche deve avere esercitato un’influenza determinante la “base costituzionale delle fondazioni coloniali”, nella cui fase iniziale le truppe avevano una funzione cruciale. Un peso non irrilevante va riconosciuto poi al sistema autocratico dei centri sicelioti, in cui il potere dipendeva strettamente dallo strategato. Le congiunture storiche più importanti per l’elaborazione di questa iconografia monetale sono due: la guerra tra Atene e Siracusa, che spinge la popolazione a “trovare risposte adeguate, ideologiche, all’offensiva attica”; e la “rinascita timoleontea”, la cui impostazione propagandistica contempla “la rifondazione delle poleis siceliote” (p. 47). Dalla Magna Grecia questa iconografia passa a Roma, specificamente con due serie monetali campane con “teste elmate, rispettivamente barbata e imberbe”, in cui si riconosce univocamente l’effigie di Marte. I Romani si ricollegano quindi a modelli greci, “svuotati del loro significato originario e riutilizzati come forma visibile di nuovi contenuti” (p. 47).

G. Ottone tenta di dimostrare la tesi che “l’iconografia monetale potesse influenzare le tradizioni mitografiche” (p. 83). Un’idea ingegnosa, che sembra trovare conferma nelle leggende riguardanti le origini di Lesbo: il colonizzatore tradizionale, Makar o Makareus, è messo variamente in rapporto col leone in diversi filoni del mito; ma la belva costituisce l’effigie dell’isola e di conseguenza appare ab origine sulle monete. Prove analoghe si attingono dalle tradizioni di altre località, come l’isola di Tenedo e la città di Sardi. La studiosa mostra di padroneggiare una grande quantità di fonti letterarie e iconografiche; tuttavia, la sua tesi non mi sembra completamente convincente. Il ragionamento infatti è reversibile: una leggenda originaria può aver generato le altre per filiazione e variazione; successivamente può aver condizionato le tipologie monetali direttamente o con la mediazione delle varianti. Voler stabilire la priorità della leggenda o dell’immagine è come chiedere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il problema è perfino più complesso, dal momento che non si possono escludere influssi reciproci ed “effetti di ritorno” (la tradizione culturale si rispecchia sulla moneta, che a sua volta condiziona la leggenda e ne propizia la germinazione).

La ricerca di E. Ercolani Cocchi riguarda la presenza e le caratteristiche delle figure femminili nell’iconografia monetale dalla tarda repubblica all’età altoimperiale. La studiosa prende in considerazione non solamente donne reali (mogli di personalità eminenti come Fulvia e Ottavia, oppure Auguste come Livia e Agrippina), ma anche divinità quali Venere e Vesta, insieme con personificazioni come Victoria, Libertas, Fortuna, Pietas. La ricorrenza delle varie immagini nelle diverse epoche è illustrata chiaramente con una serie di tavole sinottiche, che rendono immediatamente l’idea della frequenza diacronica delle differenti tipologie. La presenza, la costruzione e la connotazione delle figure sono sottoposte ad analisi comparativa con le testimonianze iconografiche e con le fonti letterarie coeve: i tipi monetali sono integrati in un coerente quadro culturale; sono interpretati quindi con parametri storicamente appropriati, alla luce della situazione politica, delle tendenze ideologiche e propagandistiche. Purtroppo qui non è possibile rendere conto in modo esaustivo di un contributo così ampio e articolato (pp. 111-175), di cui è opportuno sottolineare almeno l’interesse tributato a buon diritto al rapporto instaurato in campo numismatico (come in molti altri aspetti culturali) tra il mondo romano e l’Ellenismo. R. Pera (a cui va ascritta a lode pure la cura complessiva della miscellanea) rivolge la propria attenzione alla presenza e alla connotazione della personificazione allegorica di Salus nell’epoca repubblicana e altoimperiale. La ricerca è complementare a quella di E. Ercolani Cocchi, nella misura in cui ne approfondisce una singola parte, con maggiore ricchezza di considerazioni e implicazioni. Proprio per questo, sarebbe stato preferibile invertire l’ordine dei due lavori (mettere cioè Ercolani Cocchi prima di Pera, come deliberatamente in questa recensione), in quanto il primo costituisce un approfondimento, che si inserisce felicemente nel panorama tratteggiato dal secondo.

L’analisi delle figure femminili nelle tipologie monetali prosegue anche nella ricerca di A. L. Morelli, che si sofferma sulla rappresentazione delle Auguste con attenzione particolare per la presenza della patera (simbolo sacrale e strumento rituale), la quale richiama la tematica della libagione, cerimonia religiosa di notevole importanza, non priva di conseguenze politiche. Le immagini delle imperatrici con la patera attestano, congiuntamente con altre fonti iconografiche e letterarie, la funzione concreta svolta da queste donne in alcune pratiche cultuali, con studiata ricaduta propagandistica. Le relazioni istituite tra le Auguste e le divinità servono a comunicare alla popolazione le garanzie di continuità e stabilità, in risposta alle problematiche della legittimità, della successione e della discendenza. Il conferimento di un tale prestigio religioso a personaggi femminili (sia pur circoscritto a frangenti particolari) è un fenomeno raro nel mondo romano: tanto più suscita interesse (non soltanto in campo numismatico).

M. Ferraro si dedica ancora alle figure femminili e alle personificazioni allegoriche, specificamente Eirene e Pax, che sono le due diverse interpretazioni, rispettivamente greca e romana, della più universale tra le aspirazioni e le idealità sociali, la pace. Queste due figure si differenziano per genesi e sostanza semantica: Eirene come quiete foriera di prosperità economica, figlia della mentalità borghese della democrazia ateniese; Pax come conseguenza della sicurezza costruita con la forza e della conquista necessaria, in una prospettiva di propaganda dell’autorità politica e, sebbene possa sembrare paradossale, finanche in funzione imperialistica. Non meraviglia dunque la diversa caratterizzazione delle due figure nelle testimonianze iconografiche, comprese le tipologie monetali. L’immagine di Pax, elaborata in epoca cesariana, raggiunge la piena maturazione nell’età augustea, con gli attributi del ramo d’ulivo e del caduceus. È testimoniata tuttavia la sopravvivenza dell’immagine ellenica di Eirene ancora in epoca imperiale, sotto forma di dea nutriens, col piccolo Ploutos in braccio, col corno ricolmo di frutti e col seme di grano.

G. Salamone sottopone a esame i tipi monetali riguardanti l’esercito e i valori militari nell’arco di cinque secoli, dai Giulio-Claudi ai Teodosi. Il peso dei soldati nel mondo romano (soprattutto dal I secolo a. C. in poi) è universalmente noto: a loro spettava il difficile compito di difendere confini spesso vacillanti sotto i colpi dei popoli esterni (a cui di tanto di tanto si aggiungevano focolai interni); loro si arrogavano il diritto di portare al trono o di deporre gli imperatori, che proprio per questo avevano interesse a conquistare il favore dell’esercito. Lo scopo del contributo è “verificare se e in che termini l’elemento militare possa essere considerato ‘attributo’ del potere imperiale” (ovvero un fattore strettamente legato al titolo e al ruolo del princeps) in base alla propaganda veicolata dalla documentazione numismatica (p. 206). L’epoca delle guerre civili segna una tappa importante per la comparsa e la definizione di tipologie monetali e leggende destinate a godere di grande fortuna anche nell’età imperiale: le fazioni in lotta si appellano alla coesione militare ancor più che alla solidarietà della popolazione; gli eserciti sono chiamati a combattere non per lo stato, ma per i propri generali, in nome di valori ancestrali (come Concordia e Fides, su cui interessanti acquisizioni si devono alle pagine precedenti di questa miscellanea), che sono risemantizzati a scopo filomilitare. Due tendenze si segnalano nella propaganda iconografica: una sacrale e simbolica, più documentata e dunque prevalente, fondata su idealità tradizionali sotto forma di personificazioni (come Concordia con la cornucopia) o di azioni emblematiche (le mani destre unite, a sancire la promessa di eterna lealtà); un’altra invece realistica, caratterizzata dall’immagine dell’arringa imperiale e dalla leggenda adlocutio. La ricorrenza delle tipologie monetali di entrambe le tendenze (ma specialmente della prima) è discussa analiticamente, con costante attenzione alle motivazioni politiche; alla fine è registrata sinteticamente in una tavola sinottica (pp. 214-216). La propaganda filomilitare aumenta gradualmente dall’età giulio-claudia a quella adrianea, per raggiungere la massima intensità nella cosiddetta anarchia tardoantica. Ma in quest’epoca si riduce altresì la grande varietà tipologica ed epigrafica della monetazione: dopo i Costantinidi, da Valentiniano I a Teodosio II si riscontra il ripetersi di “un unico, martellante slogan”, la celebrazione della uirtus exercitus, in cui confluiscono ambedue le tendenze, la simbolica e la realistica. Il vero protagonista è l’imperatore, rappresentato da solo o nell’atto di infierire sul nemico sconfitto: il valore militare è diventato un elemento ideologico, inglobato nel profilo stesso del sovrano; l’esercito si configura come un suo attributo.

Il contributo di B. Schöpe verte su alcune monete emesse dalla città di Antiochia in Pisidia (al confine con la Frigia), delle quali lo studioso si è occupato nell’ambito del progetto di edizione della Collezione Numismatica Piancastelli del Comune di Forlì. Di questi tipi monetali si evidenzia il significato simbolico, soprattutto in riferimento al dio Men, rappresentato su due esemplari. Si tratta di una divinità lunare, di origini indo-iraniane, con funzione di protezione sulla salute e sulla famiglia, con un legame con i defunti. Il suo culto, che presentava caratteri e simboli diversi da luogo a luogo, era praticato in numerosi paesi microasiatici, tra cui Antiochia in Pisidia. Gli attributi di Men attestati dai tipi monetali in esame sono il berretto frigio (indicante il carattere orientale del dio), il crescente lunare (da ricollegare ancora alle sue origini persiane), il bucranio (con riferimento al toro, il cui sacrificio ha un significato simbolico, come vittoria della vita sulla morte), il gallo (animale prediletto del dio, spesso immolato in suo onore), lo scettro (segno del potere), la personificazione della Vittoria (di matrice romana, non greca). Tra questi, maggiore interesse meritava forse il gallo, presente in alcuni culti misterici orientali e occidentali (per esempio, l’Orfismo), in relazione con la morte e con la possibilità di una rinascita o di una nuova vita. K. Longo affronta l’iconografia delle Tychai (ancora una volta le personificazioni) di Roma e Costantinopoli, interpretate a ragione come “una metonimia” delle rispettive popolazioni, considerate nelle loro relazioni con l’autorità imperiale. Vale la pena di ricordare la tipologia monetale con le due città poste insieme, Roma in un’immagine marziale e amazzonica, Costantinopoli in vesti muliebri. Tale accostamento richiama il progetto di Costantino, riguardo il quale parlerei di bifrontismo dell’impero: da una parte Roma, che incarna la tradizione occidentale, giuridica e militare; dall’altra parte Costantinopoli, che esprime anch’essa una cultura assai antica, di grande dignità e di natura essenzialmente religiosa, diventata parte integrante della compagine imperiale. Questa dualità si rispecchia nell’immagine dell’unione matrimoniale, specificamente nella coppia imperiale: la femminilità di Costantinopoli si inserisce nell’iconografia ufficiale dell’Augusta, ossia di Elena, la “madre dell’imperatore e nonna degli eredi”; Roma rappresenta a sua volta un’entità maschile, connotata dalla qualità della forza, a cui Costantinopoli si affianca quale “paredra”, contemporaneamente mater e domina. Se la prima è icona della uirtus bellica, la seconda impersona le idealità opposte, ma consequenziali e complementari ad essa, cioè la pax e la securitas : insomma, “l’autorità militare di Roma e la funzione pacificatrice di Costantinopoli” (p. 234).

A. Bolis si propone di dare uno stimolo a “riconsiderare la definizione e funzione dei monogrammi medievali documentati sulle monete di tradizione occidentale, alla luce di un metodo di lettura ispirato all’iconografia e iconologia warburghiana”. È messo a fuoco in particolare “il ruolo ambivalente dei monogrammi negli ambiti decorativi e grafici”, con la finalità di gettare ancora luce su una tematica importante, la relazione tra la scrittura e l’immagine (p. 245). I monogrammi esistono già nel mondo greco e latino: se fin dal periodo arcaico il loro uso non è limitato al materiale monetale, dal I secolo d. C. si trovano su testi sepolcrali e oggetti d’artigianato. Essi occupano però un posto secondario, come accessori funzionali a identificare i pezzi. Nel V secolo d. C. si inaugura un periodo nuovo per il monogramma, che cessa di essere un elemento marginale per diventare il segno principale su tipi monetali come i bronzi di Teodosio II. Esso è appaiato col ritratto dell’imperatore, del cui nome proprio è portatore, con una commistione di lettere latine e greche. L’indagine prosegue dunque sulle monete gotiche e bizantine. È il primo passo di un itinerario molto più lungo, ancora tutto da percorrere, attraverso Visigoti, Merovingi, Longobardi e Carolingi.

L’ultimo contributo, di Ch. E. Dekesel, in inglese, traccia il ritratto di un personaggio interessante ed enigmatico, Hubertus Goltzius: un intellettuale girovago, operante nei decenni centrali del XVI secolo, definito “not only a painter but also a merchant”, che intratteneva rapporti commerciali con clienti nobili o benestanti, con una propensione per l’antichità classica, comprese le monete greche e romane. Proprio a quest’ultimo argomento si interessò al punto da scrivere alcuni libri, il primo e il più importante dei quali si intitola Icones Imperatorum Romanorum (in sei lingue e con 133 illustrazioni). Un esame accurato di questo libro consente di concludere che l’autore, pur non essendo uno studioso accademico “but more a self-made man”, maneggiava così consapevolmente i tipi monetali e i modelli iconografici da produrre “a unique masterpiece” (p. 276).

A uno sguardo d’insieme, il volume include contributi di livello mediamente buono, alcuni di ampio respiro, altri di carattere più tecnico. L’unità della temperie è data dalle premesse metodologiche comuni e da alcune tematiche ricorrenti, affrontate da varie angolazioni, come le figure femminili e le personificazioni. La numismatica è vista nelle sue relazioni dinamiche con la storia politica, sociale e culturale. Proprio questo approccio sinergico conferisce a molti dei contributi un interesse di carattere generale, che supera l’ambito strettamente numismatico per rivolgersi a un più vasto pubblico di studiosi del mondo classico (come, del resto, chi scrive). L’opera appare in una veste tipografica elegante, con ventidue tavole corredate di brevi didascalie.

Indice del volume.

M.Caccamo Caltabiano, La mistica e il ruolo politico. L’ideologia del cavaliere nell’età delle tirannidi siceliote.

D. Castrizio, L’iconografia degli eroi strateghi nella tipologia monetale di Magna Grecia e Sicilia (V-III sec. a.C.).

G. Ottone, Tradizioni rodie e “Lokalpatriotismus” metimneo. Nuovi frammenti di stroriografia su Lesbo alla luce di Diodoro e dell’iconografia monetale.

R. Pera, Origine e sviluppo dell’iconografia di “Salus” dall’età repubblicana a Galba.

E. Ercolani Cocchi, Il ruolo femminile nell’iconografia del potere fra tarda repubblica e alto impero.

A.L. Morelli, L’attributo della patera e il ruolo religioso delle Auguste. La documentazione numismatica.

M. Ferrero, “Eirene” e “Pax”. Appunti per la documentazione storico-artistica di un’iconografia.

G. Salamone, L’imperatore e l’esercito: l’elemento militare quale attributo della “Virtus” imperiale.

B. Schoepe, Aspetti iconografici di alcune monete di Antiochia in Pisidia appartenenti alla Collezione Pancastelli (Forlì).

K. Longo, Le “Tychai” di Roma e Costantinopoli e l’allegoria del potere imperiale tardo antico.

A. Bolis, Monogrammi come immagine del potere. Un primo contributo.

C. E. Dekesel, Hubertus Goltzius (Venloo 1526 – Bruges 1583) and his “Icones Imperatorum Romanorum”.