BMCR 2007.02.29

Theodore of Mopsuestia. Commentary on Psalms 1-81

, Theodore of Mopsuestia, Commentary on Psalms 1-81. Writings from the Greco-Roman world: no. 5. Atlanta: Society of Biblical Literature, 2006. 1 online resource (xxxviii, 1137 pages).. $89.95 (pb).

Teodoro, nato intorno al 350 d.C. ad Antiochia di Siria, discepolo, con Giovanni Crisostomo, di Libanio e di Diodoro di Tarso e autore intorno al 380 della prima Replica al pamphlet Contra Galilaeos dell’imperatore Giuliano, fu vescovo di Mopsuestia in Cilicia dal 392 alla morte nel 428. Egli si distinse tanto come esegeta delle sacre Scritture quanto come teologo di punta di quella scuola antiochena in cui assunse l’eredità del maestro Diodoro di Tarso, continuando e sviluppando una tradizione che nell’esegesi biblica privilegiava l’aderenza al senso primario del testo, quello cioè letterale e storico, sulle cui solide basi deve poggiare la theoria, cioè la prospettiva tipologica di un senso che allude a realtà future. La fama e l’influenza di Teodoro furono pari nella tarda antichità a quello di Origene, il maestro della scuola di Alessandria che privilegiava la interpretazione allegorica, tanto che molte delle sue opere furono immediatamente tradotte in latino. L’associazione dopo la morte di alcune sue tesi teologiche a quelle di Nestorio inferse però un duro colpo al prestigio di Teodoro in campo ortodosso. Se ciò assicurò la traduzione e la diffusione delle opere teodoree nell’ambito nestoriano di Siria, la condanna di sei sue tesi, di cui alcune ricavate dal Commento ai Salmi, nel V concilio ecumenico di Costantinopoli del 553 provocò la scomparsa di gran parte delle sue opere nell’originale greco, delle quali ci è giunta integra solo il Commento ai Profeti minori.

Solo in epoca recente la figura di Teodoro è riemersa nella sua importanza, fuori dalle polemiche sulla sua ortodossia, riacquistando contorni sicuri grazie all’impegno di filologi e traduttori che hanno reso accessibili, con sicurezza critica, i suoi scritti, ricostruiti dalle citazioni presenti soprattutto nelle intricate tradizioni dei commenti catenistici all’Antico e al Nuovo Testamento o trasmessi da antiche traduzioni, latine e siriache.

Uno degli esempi più eccellenti dell’efficacia dell’indagine filologica è stato il sapiente recupero ad opera di Robert Devreesse, un grande specialista nel complicato campo delle catene bibliche e dei florilegi patristici, del Commento ai Salmi,1 l’opera prima di Teodoro, composta con giovanile baldanza, forse quando era ancora alla scuola di Diodoro nell’ Asketerion di Antiochia. Di questo Commento, che riguardava tutti i Salmi, Devreesse ha ricostruito con un paziente lavoro di ricerca quanto resta dei Salmi 1-80 nell’originale greco e in un antica traduzione latina. Tale edizione viene ora tradotta per la prima volta in una lingua moderna e resa accessibile a un più ampio pubblico da Robert C. Hill, che ha già acquisito meriti nel campo delle traduzioni di testi esegetici di scuola antiochena pubblicando in pochi anni versioni inglesi dei Commenti ai Salmi (1998) e alle Omelie sull’Antico Testamento (2003) di Giovanni Crisostomo, dei Commenti ai Salmi (2000-1) e a Daniele (2006) di Teodoreto, del Commento ai Profeti minori di Teodoro di Mopsuestia (2004) e del Commento ai Salmi 1-50 di Diodoro di Tarso (2005).

Lo studioso, che sostituisce alla numerazione dei Settanta quella originaria masoretica, e quindi 1-81 con la divisione del Salmo 9 in due parti distinte (nel mio testo preferisco però mantenere la numerazione seguita dallo stesso Teodoro), fa precedere la traduzione da una introduzione (pp. I-XXXVIII) in cui, dopo uno schizzo su vita e opera di Teodoro, presenta in tutti i sui aspetti più rilevanti il Commento ai Salmi. Innanzi tutto ne definisce la destinazione e il pubblico, inquadrandolo nell’ambito di una comunità monastica quale quella dell’ Asketerion di Antiochia. Riguardo al testo commentato, la versione dei Settanta nella forma che circolava in ambito antiocheno, Hill sottolinea l’ignoranza dell’ebraico e del siriaco da parte di Teodoro, ma riconosce tuttavia che rispetto all’approccio del maestro Diodoro egli ricorre spesso, servendosi del testo esaplare approntato da Origene, alle versioni di Aquila, Simmaco e Teodozione. Teodoro accorda la priorità, secondo la tradizione, alla versione dei Settanta ‘anche se essa si esprime in maniera non familiare’, ma tuttavia in casi come quello di Salmo 15, 3-4 non ha difficoltà ad dare la preferenza al testo risultante dall’ebraico e dalla versione siriaca perché esso, a differenza della versione dei LXX, risulta coerente con l’articolazione successiva del discorso (p. 186, 30-1 Hill: unde ille magis sensus, qui de syro sive hebraeo nascitur, est sequendus; unde et reliquorum dictorum consequentia repperitur).

Chiariti gli aspetti più rilevanti del metodo esegetico antiocheno, nel trattare l’approccio alla Scrittura di Teodoro Hill ne sottolinea i limiti dovuti, oltre che all’ignoranza delle lingue semitiche, a una certa inesperienza giovanile. Sono quindi tratteggiate le caratteristiche dello stile teodoreo e il suo modo di affrontare il testo letterario, in cui l’attenzione all’evidenziazione delle figure retoriche si mostra frutto della scuola di Libanio, così come il commento del maestro Diodoro traspare in filigrana nell’approccio teologico ed esegetico. Teodoro non è però appiattito sul maestro, come tende invece a insistere Hill: basti ricordare ad esempio, oltre al già citato frequente ricorso ad altre traduzioni, come nel Salmo 71 rispetto a Diodoro, che oltre a riferirlo a Salomone vi vede riferimenti messianici , Teodoro escluda risolutamente ogni prospettiva cristologica, arrivando a definire tale interpretazione addirittura ridicola. A proposito della metodologia teodorea andava ricordato che, se è perduto il prologo ai Salmi, è però superstite in siriaco, pubblicato e tradotto in francese da L. Van Rompay,2 il testo introduttivo al Salmo 118 in cui, sulla scia di quanto Diodoro aveva premesso allo stesso testo, Teodoro espone i principi dell’esegesi storico-letterale antiochena e chiama direttamente in causa Filone e Origene come gli archegeti dell’allegorismo biblico, che egli vede pericolosamente dipendere dalla dottrina allegorica sviluppata dai pagani, fonte di errori non solo esegetici ma anche dottrinali. Hill mette quindi in rilevo gli aspetti della dottrina cristologica che emergono dal testo teodoreo; in proposito sarebbe stato opportuno citare il contributo di A. Vaccari, In margine al commento di Teodoro Mopsuesteno ai Salmi, in Miscellanea G. Mercati I, Città del Vaticano 1946 (Studi e Testi 121), 175-198. Le conclusioni riguardano l’ ‘achievement’ di Teodoro nel commento ai Salmi, di cui Hill mette in luce soprattutto i limiti esegetici, pur dandogli atto di aver raggiunto ‘the modest goal … of making possible some illuminations of the obvious sense of the text’.

La traduzione è effettuata sull’edizione dei Salmi 1-80 di Devreesse, riportata comodamente a fronte, in riproduzione anastatica ma senza le note marginali sui manoscritti. Purtroppo nella premessa alla traduzione non è data alcuna notizia sui codici e le loro sigle, per cui il lettore non è in grado di poter utilizzare l’apparato critico. Andava almeno ricordato che Devreesse: a) per i Salmi 1-40 presenta l’antica traduzione latina trasmessa da due mss. già di Bobbio della fine dell’ VIII secolo, l’Ambros. C 301 inf. ( A) e il Taur. F IV I ( B), insieme con i frammenti greci restituiti dalla Catene, per i quali usa soprattutto i mss. Par. gr. 139 ( P) e Vat. gr. 1682-3 ( V); b) ricostruisce il testo greco dei Salmi 32-50 grazie all’esegesi continua riportata dal ms. Coislin. 12 (XIII sec.; C); d) dal Salmo 51 a 80 presenta i frammenti greci recuperati dalle catene (soprattutto dai codici C, P e V); dal Salmo 16 in poi riporta in apparato brani dell’epitome dell’antica traduzione latina offerta sempre dal cod. Ambr. ( Ae). Quel che più sorprende è che il traduttore, oltre a trascurare di dare informazioni sull’antica traduzione latina, sembra ignorare che gli studiosi, a partire dallo stesso Devreesse,3 riconoscono oramai unanimemente, secondo la tesi avanzata da A. Vaccari già nel 1916 e ribadita nel citato contributo per la Miscellanea Mercati del 1942, che essa è opera di Giuliano di Eclano, il celebre vescovo pelagiano che fu ospite di Teodoro a Mopsuestia verso il 421. Così non viene segnalato che all’edizione del testo latino di Devreesse si è affiancata nel 1977 quella curata da L. De Coninck,4 che non solo ha potuto tenere conto delle correzioni e degli studi successivi al Devreesse (in particolare le recensioni di A. Vaccari V. Bulhart e J. M. Vosté, nonché i lavori di J. H. Baxter e G. Bouwma sullo stile dell’Eclanense), ma ha anche utilizzato per il commento al Salmo 16 un nuovo testimone manoscritto e pubblicato per i restanti Salmi l’epitome ( Ae) della traduzione di Giuliano di Eclano presente nel citato codice Ambrosiano. L’utilizzazione dell’edizione di De Coninck avrebbe consentito al traduttore di risolvere alcune difficoltà testuali e interpretative. Ad es. nel commento a Salmo 4, 8 (p. 48, 31-2) per quod plane manifesta rebus ipsis Dei providentia animum sanum sapientibus adprobatur viene tradotto ‘through this God’s providence is clearly manifest in reality and in wise people confirms a sound attitude’: l’interpretazione corretta ‘è approvata da quanti sono saggi (nell’animo)’ avrebbe potuto trarre profitto dall’espunzione di animum proposta da De Coninck, che nota come la locuzione sanum sapio ritorna a p. 444, 11 Hill nel commento al Salmo 37. A proposito del commento al Salmo 8, 1, ‘it does not in any way change the sense’ (p. 85, 13) cerca di rendere alla meglio nihil intellectui commutat, ma commutat va corretto, seguendo Vaccari e Bulhart, in incommodat, col valore di ‘non danneggia la comprensione’; la necessità e bontà della correzione, come risulta dall’apparato di De Coninck, è stata poi riconosciuta anche da Devreesse.

La traduzione di Hill mette per la prima volta a disposizione di un vasto pubblico un’opera la cui dizione, sia nell’originale greco sia nella elegante rielaborazione di Giuliano da Eclano, non è sempre piana e facile, nonostante la cura e la ripetività didascalica di Tedoro. La resa inglese è fluente ed ha il pregio di seguire fedelmente l’originale, senza niente omettere e senza ricorrere a sotterfugi o aggirare il testo in caso di difficoltà. Una notevole scioltezza e chiarezza di stile rende la traduzione scorrevole, ma forse proprio una eccessiva sicurezza ha impedito in più casi di scorgere le insidie del testo e di rendersi conto delle difficoltà interpretative, producendo una resa inadeguata ed erronea. Un chiaro segnale viene talora dalle stranezze di contenuto presenti nella resa inglese, che proprio perché non camuffate da sotterfugi fanno suonare per il lettore attento un campanello d’allarme. Scelgo alcuni casi esemplari, prima per il latino e poi per il greco.

A p. 11, 12 nel commento al Salmo 1, 2 leggiamo lo strano ‘by industrious study of the yoke of the law’; in realtà c’è stato un fraintendimento del latino adsidua et iugi meditatione legis‘con l’assidua e continua meditazione della legge’, dove iugi è l’ablativo dell’aggettivo iugis e non il genitivo di iugum.

A p. 19, 17 a proposito del Salmo 2, 2 leggiamo: ‘since the crime involves an insult to Father and to Son and is directed to both, and both were treated sacrilegiously’, ma il latino quoniam ad contumiliam Patris et Filii spectat iniuria et in utrumque committit, qui in alterutrum profanus exsteterit vuol dire ‘chi è sacrilego con l’uno o l’altro, commette ingiuria verso entrambi’.

A p. 41, all’inizio del commento al Salmo 4 ‘in the present psalm blessed David gets the better of those who go so far as to claim that the world depends on them’ rende in praesenti psalmo beatus David convincit eos, qui ultro mundum adserunt ex se stetisse, fraintendendo ex se stetisse, correzione di Devreesse per extetisse dei manoscritti, che andava tradotto ‘che il mondo è nato da se stesso’. In questo caso l’uso dell’edizione di De Coninck avrebbe chiarito che exstetisse (= exstitisse) è senz’altro da mantenersi e va quindi collegato con ultro; bisogna quindi intendere, come traduce Bulhaert,5 ‘die behaupten, dass die Welt, nicht von Gott erschaffen, sondern von selbst entstanden sei’.

A p. 135, 9 a proposito di Salmo 11, 4 il latino et quoniam tabernaculum templum vocatum sit, manifesto Regum testimonio perducitur è tradotto ‘and since the tabernacle was called temple, he is making a clear reference to Kings’. Però quoniam col congiuntivo in questo caso, così come di frequente nell’uso di Giuliano di Eclano (vedi ad es. p. 8, 11; 12, 20; 40, 1; 46, 29; 170, 1; 180, 2-5 Hill) è usato a esprimere una dichiarativa. Il passo va quindi tradotto: ‘e che il tabernacolo sia chiamato tempio è provato chiaramente dalla testimonianza del libro dei Re‘.

A p. 205, 29 nel commento al Salmo 16, 4 invece che ‘hence, in reference to such virtuous precautions, he repeats the statement’, il latino consequenter ergo causam tantae custodiae virtutisque reseravit dicens significa piuttosto: ‘di conseguenza perciò rivelò la causa di così grande e virtuosa precauzione, dicendo’.

A p. 289, 9 il commento a Salmo 32, 4a ὡς ἂν μὴ δόξῃ κεχαρισμένη τις εἶναι καὶ ἀδιάκριτος ἡ παρασχεθεῖσα αὐτοῖς παρὰ τοῦ Θεοῦ βοήθεια viene tradotto ‘lest someone seem not to be grateful and the help provided them by God go unacknowledged’, ma il passo va inteso: ‘perché l’aiuto fornito loro da Dio non sembri gratuito e indiscriminato’, come prova anche la frase più sotto, che, come è costume di Teodoro, ribadisce didatticamente il concetto: οὔτε τούτους χάριτι εὐεργετεῖ ματαίᾳ, οὔτε τοὺς ἐναντίους ὀργῇ τιμωρεῖται, δικαίᾳ δὲ ψήφῳ τὴν κατὰ τῶν ἐναντίων ἀπόφασιν ἐκφέρει.

A p. 299, 3 a proposito del Salmo 32, 7a dove Teodoro spiega l’uso del plurale scrivendo ἔστι τοίνυν τοιοῦτο καὶ παρὰ τοῖς Ἐβραίοις ἔθος, ᾧ κεχρῆσθαι φιλουσιν ἐπὶ τῶν μειζόνων, la resa ‘they are fond of adopting it in a great many cases’ avrebbe potuto in questo caso giovarsi del latino cum de maioribus rebus sermo fit, vale a dire ‘quando si tratta di cose di particolare importanza’.

A p. 327, 19 nel commento a Salmo 33, 11 τοῖς πολλὴν ἔχουσι τῶν κακῶν τὴν μελέτην τὰ ὅμοια ἔσεσθαι φάσκειν τοῖς ὑπ’ αὐτοῦ κατὰ τῶν Ἀσσυρίων γεγονόσι, εἰ τοῖς κακοῖς ἐπιμένοιεν, viene tradotto ‘to those in turn much concerned by troubles he says that the same things would occur as were done by him to the Assyrians if they should suffer problems’, ma τῶν κακῶν e τοῖς κακοῖς hanno qui valore di ‘azioni malvage’ non di ‘problemi’ e quindi bisogna tradurre: ‘per quelli che sono grandemente dediti alle azioni malvage … se persistono nelle malvagità’.

A p. 353, 20 nel commento a Salmo 34, 3a si legge un curioso ‘the warrior stripped for battle customarily has a spear to use on the enemy in flight’, ma il greco τοῦ ἀριστέως γυμνοῦντος τὴν λόγχην ἔθος ἐστὶν φυγῇ κεχρῆσθαι τοῖς πολεμίοις, vuol dire: ‘quando il valoroso snuda la lancia, solitamente i nemici si danno alla fuga’.

A p. 355, 9 nel commento a Salmo 34, 3b τοῦτο δὲ ἡμῖν ἐπισεσήμανται πολλαχοῦ non va tradotto ‘they have indicated this to us in many places’, bensì ‘questo è stato da noi indicato frequentemente’: ἐπισεσήμανται è terza persona singolare, non plurale.

A p. 357, 2 nel commento a Salmo 34, 8a, il verbo ἐπαρᾶται è stranamente tradotto ‘he gets carried away’, mentre esso significa ‘maledice’; il fraintendimento (forse col verbo ἐπαίρομαι ?) si ripete più sotto a proposito di ἐπαρώμενος ὅπερ αὐτὸς ἔπασχεν ὑπ’ ἐκείνων, tradotto ‘proposing for them (punishment, that is) what he suffered from them’, invece di ‘augurando con la sua maledizione’, e a p. 359, 5 nel commento allo stesso Salmo 8bc, dove ἐπαρώμενος è reso ‘in his agitated condition’. Così ancora a p. 361, 26 a proposito di 10c εἶτα ἐπαρασάμενος αὐτοῖς è tradotto ‘he then exults over them’, e a p. 425, 4 nel commento a Salmo 36,15 οὐκ ἐπαρώμενος λέγει ἀλλ’ ἐξηγούμενος è reso ‘he speaks not with a sense of exultation, but by way of comment’. Gli esempi potrebbero continuare, ma quanto discusso basterà a mostrare che se si deve certamente gratitudine al traduttore per la fatica compiuta in un campo in cui non aveva predecessori a cui appoggiarsi, il lettore farà bene, soprattutto dove il testo inglese risulti strano o poco chiaro, a controllare l’originale greco o la versione latina prima di dare la colpa a Teodoro e di concludere ‘that he is either youthfully impatient of detail or simply a lazy commentator’ (p. XXVIII).

Notes

1. R. Devreesse, Le Commentaire de Théodore de Mopsueste sur les Psaumes (I-LXXX), Città del Vaticano 1939 (Studi e testi 93).

2. Théodore de Mopsueste. Fragments syriaques du Commentaire des Psaumes (Psaume 118 et Psaumes 138-148), éd. et trad. par L. Van Rompay, Lovanii 1982 (CSCO 435, Syr. 189; CSCO 436, Syr. 190). Cfr. anche L. Van Rompay, Fragments syriaques du Commentaire de Théodore de Mopsueste sur les Psaumes), in Orientalia Lovaniensia Periodica 9 (1978) 83-93.

3. R. Devreesse, Essai sur Théodore de Mopsueste, Città del Vaticano 1948 (Studi e Testi 141), 31 n. 2.

4. Theodori Mopsuesteni Expositionis in Psalmos Iuliano Aeclanensi interprete in Latinum versae quae supersunt, auxiliante M. J. D’Hont edidit Lucas De Coninck, Turnholti 1977 (CCL 88a).

5. Nella recensione all’edizione di Devreesse in Philologische Wochenschrift 62 (1942) 60.