BMCR 2007.04.13

Sicilia cristiana. Dal I al V secolo (Volume II). Supplementi a Kokalos, XVII

, Sicilia cristiana dal I al V secolo. Supplementi a "Kókalos" ; 17. Roma: G. Bretschneider, 2005-2006. 2 volumes in 3 ; 25 cm.. ISBN 8876892281. €85.00.

Ad un anno di distanza dal primo (ἀ, vede la luce il secondo volume, diviso in due tomi (B 1 -B 2), dell’opera di Francesco Paolo Rizzo, Sicilia cristiana. Dal I al V secolo. Inserito nella collana dei Supplementi a Kokalos, il volume è pubblicato dalla casa editrice Giorgio Bretschneider.

Volume B 1

Le fonti agiografiche

Nei “Preliminari” (5-10), l’autore mette in evidenza il fatto che in Sicilia non si ebbe la precoce necessità di serbare memoria dei primi santi e martiri isolani per iscritto come avvenne in altre parti dell’impero. Pur tuttavia alcune memorie locali varcarono i confini dell’isola e furono trascritte in tre importanti raccolte di differente età, lingua e concezione: il Martyrologium Hieronymianum (μἠ, il Synaxarion di Konstantinopolis (SK) e il Martyrologium Romanum (MR). Il MH, composto in latino alla metà del V secolo d.C., conserva la più antica testimonianze delle memorie di 14 santi siciliani. Nel naufragio della maggior parte delle tradizioni locali (di certo in numero maggiore) esso rappresenta un buon punto di partenza. Manca inoltre qualsiasi accenno a commemorazioni di episcopi.

Il “corpus agiografico” (11-17), preso in esame è suddiviso in due categorie in base alla lingua ed al differente ambiente culturale e politico: Agiografia greca (arcaica, di transizione, “siculo-bizantina”, e su santi di dubbia storicità) e latina (derivata e originale). Se al periodo arcaico (prima del 313 d.C.) possono ascriversi con molta probabilità gli Atti di Euplo e quelli Agata, a quello di transizione (313-600 ca.) vanno collocate i prototipi in greco delle narrazioni-amplificazioni di Agata, Lucia e Vito.

Durante la “felice stagione”1 dell’agiografia greca (ultimi decenni del VII – fine del IX secolo d.C.) furono composte molte opere definite “sicule-bizantine”, in ambiente monastico, con l’intento fra l’altro di mostrare il legame fra la Sicilia e la Chiesa di Roma. Protagonisti di questi scritti furono non solo i santi “geronimiani” (Agata, Lucia, Pancrazio, Euplo, etc.) ma anche santi alcuni esclusi dal MH (i fratelli Alfio, Filadelfo e Cirino). La agiografia latina invece fu frutto della notorietà che certi santi isolani trovarono nell’Urbe, grazie all’inserimento nel MH e laddove essa espresse in maniera originale una devozione ad alcuni santi sconosciuti alla agiografia greca, essa si riferì a personaggi appartenenti alla pars occidentale (e latina) dell’isola.

Le “testimonianze liturgiche” (19-21) sono costituite dagli Inni composti in greco tra il VII ed il IX secolo da autori sicelioti (Gregorio, Teofane, Elia, etc.)2 e dagli Encomi. Furono inoltre composti Inni anche in latino, nonché Ritrovamenti, Traslazioni, Miracoli. Tutte opere che testimoniano la devozione per alcuni santi. Il “quadro d’insieme delle opere agiografiche” (23-24 e Tavola I) espone i criteri di suddivisione delle opere edite, differenziandole su base cronologica con tre diversi colori (rosso, verde, azzurro). Prende così corpo la descrizione dei gruppi di “santi” (25-36) che sono compresi nel MH, nel SK e nel MR. Appare evidente la poca attenzione della chiesa riservata alla parte occidentale (e latina) dell’isola, in cui anche i dati dell’archeologia non hanno messo in luce alcun monumento cristiano. L’autore espone nel seguente breve capitolo (“Le persecuzioni fra mito e realtà”) (37-39) alcune considerazioni sulla loro cronologia (dal III agli inizi del IV secolo) e sulle liste episcopali che pretendono di enumerare tutti i vescovi cristiani dal I al V secolo. Nell’esporre i “Criteri di selezione per i Testimonia” (41-42 e tavola III, Rizzo pone l’accento sul fatto di avere raccolto quei testi che si possano considerarsi quantomeno molto vicini all’origine delle rispettive tradizioni. Nell'”Elenco dei santi” (43-44) sono presenti 121 voci, comprensive di qualificazioni (anacoreta, confessore, diacono, episcopo, egumeno, martire, monaco, presbitero, vergine). Le seguenti trentotto “schede agiografiche” (45-97) illustrano in maniera esaustiva i dati della tradizione sui singoli santi siciliani. Alla fine di ogni scheda è aggiunta una breve bibliografia aggiornata.

Le altre fonti letterarie

Nella seconda parte del volume sono prese in esame anche fonti letterarie di altro genere.

Il passaggio di Paolo a Siracusa durante il suo viaggio verso Roma (59 d.C.), cui Luca accenna brevemente,3 segna l’inizio della diffusione del Cristianesimo in Sicilia. “Dopo il passaggio di Paolo” (103-105) non ci sono pur tuttavia cenni per i primi due secoli, per quanto la prematura comparsa a Siracusa di monumenti come le catacombe alla prima metà del III secolo lasci supporre la consistenza della comunità cristiana negli ultimi decenni del II secolo. Appare inoltre infondata la tradizione che vuole le Chiese siciliane fondate da inviati degli Apostoli già nel primo secolo.

Il primo documento che testimoni l’esistenza della Chiesa siciliana è una “lettera del clero romano” (107-109) indirizzata a Cipriano, vescovo di Cartagine.4 Un’altra testimonianza è data dalle invettive di Porfirio che nella seconda metà del III secolo risiedeva a Lilibeo. Le sue recenti nozze con la ricca vedova Marcella avevano suscitato scandalo in città e la descrizione che egli offre dei suoi avversari fotografa in maniera tutt’altro che velata l’ambiente cristiano.5

La misteriosa lista dei “Vescovi e martiri a Siracusa prima della Pax” (111-112)6 che solo lo Scobar ed il Pirri hanno potuto vedere e riprodurre emendandola conteneva per il periodo dal I al III secolo quindici nomi (10 greci e 5 latini), fra i quali clamorosamente non figurano né Marciano (il proto-vescovo siracusano, secondo la tradizione), né Chrestos (vescovo al tempo di Constantino I). Appare evidente quindi concludere che le prime comunità cristiane dell’isola mantenessero vivo il ricordo sì dei propri martiri ma non allo stesso modo quello dei propri vescovi. Oltre a quella di Siracusa, altre chiese siciliane (113-115) rivendicarono pian piano delle origini antiche: fra esse, quella di Catania, Taormina, Agrigento, Lilibeo e Palermo. Per nessuna di esse però esistono prove storiche che confermino il racconto della tradizione agiografica.

In Sicilia il Cristianesimo ebbe poca visibilità e si diffuse lentamente, almeno nei primi tre secoli; perciò non potè vantare martiri come le province orientali dell’Impero. Solo con l’avvento di Decio iniziò anche per la Sicilia la dolorosa stagione delle persecuzioni anticristiane (117-120). Agata di Catania fu la prima illustre martire; seguì poi, sotto Diocleziano, Lucia di Siracusa.

Con la vittoria di Constantino su Massenzio, la Chiesa di Sicilia acquisì un dinamismo nuovo (121-124). Le evidenze archeologiche mostrano infatti un fiorire di nuovi monumenti (siano esse catacombe o chiese) su tutta l’isola. Pur tuttavia ancora nel IV secolo, l’isola è vista dagli autori come quasi immune dal nuovo credo (125-134). Fra le ombre del secolo di Constantino e di Teodosio, appaiono brevi luci quali le prime testimonianze del culto dei martiri, l’assoluta fedeltà al credo Niceno e la presenza di personalità d’elevato livello culturale fra i ranghi della chiesa siciliana (Firmico Materno, Citario, Vittorio).

“La diffusione nelle campagne” (135-145) fu lenta e resa difficoltosa soprattutto nella parte occidentale e centrale dell’isola dalla presenza della classe senatoria romana, di fede pagana. Laddove invece, persistevano le grandi città della zona orientale e minore era l’influsso del latifondo, la nuova fede trovò terreno fertile. Sorsero così piccoli nuovi insediamenti rurali, le cui tracce archeologiche sono disseminate un pο’ dappertutto sull’altopiano degli Iblei.

L’arrivo a Roma delle orde gotiche di Alarico (410 d.C.) creò una situazione di panico nella aristocrazia romana (147-157). Essa allora si volse in fuga nei propri possedimenti siciliani ed africani. Così si spiega anche il passaggio sull’isola di Pelagio, monaco britannico, in fuga dai Visigoti. La sua dottrina, anti-manichea e di stampo ascetico, non fece presa nell’animo dei Siciliani. Frattanto anche grazie alle donazioni imperiali, s’ingrandiva il patrimonio della Chiesa milanese, ravennate e romana e contemporaneamente si istituzionalizzò l’articolazione diocesana dell’isola sotto il controllo di Roma.

“Il capovolgimento di situazioni nell’età vandalica” (159-169) segnò la fine della aristocrazia fondiaria romana ma non danneggiò la chiesa isolana. La politica ariana di Genserico si limitò all’Africa senza sfiorare, se non in rarissimi casi, la Sicilia. In questo periodo inoltre si colloca l’inizio dell’ascesa della latinitas all’interno della chiesa siciliana e del lento processo di dissolvimento delle differenze fra le due parti dell’isola. Accanto alle chiese italiche, anche quelle locali iniziarono ad accumulare il proprio patrimonio e, laddove esso fu messo a buon frutto grazie all’intraprendenza di vescovi, si assistette ad un fermento edilizio non indifferente.7 Un altro fenomeno che ebbe inizio in quel periodo fu la tendenza da parte dei fedeli di ricercare sepoltura accanto a quella dei vescovi.

Con la restituzione delle insegne imperiali da parte di Odoacre (476 d.C.), si chiuse ufficialmente l’evo antico (almeno per la parte occidentale dell’Impero). Il rinnovamento economico e sociale che la Sicilia attraversò fu marcato dalla nascita della “sicilianità” (171-174). Questa tendenza si manifestò a livello politico con le rivendicazioni che i Siciliani indirizzano a Teodorico, nuovo padrone dell’isola: il rispetto delle prerogative municipali e l’allontanamento dei presidi gotici. Il disegno politico del re Ostrogoto vedeva la Sicilia competere con Bisanzio e per ottenere questo scopo andava incoraggiata la “romanizzazione” del clero e delle istituzioni isolane e mantenuto un certo grado di libertà decisionale.

Il sostegno che le chiese siciliane mostrarono alla fine del V ed agli inizi del VI secolo al pontefice romano e la solidarietà manifestata dalla precoce adozione del termine καθολική indicherebbe una chiara acquisizione della chiesa siciliana all’Occidente latino. Il sentimento religioso (175-177) sarebbe l’unica forza che resse l’isola in quel tormentato periodo storico. Essa si esplicò nella forma dell’esperienza ascetica. Questo sentimento religioso fece da collante con Bisanzio al momento della riconquista di Giustiniano ma non impedì “alla vena latina di continuare a scorrere sotterranea ed affiorare pienamente a distanza di secoli”.

Nella sua “Noterella sulle epigrafi” (179-185), l’autore fa un breve excursus sulla storia degli studi epigrafici che interessarono le testimonianze cristiane dell’isola ed espone le ragioni per cui ha limitato fortemente l’uso di tali fonti nella sua ricerca: l’inadeguatezza a trarre conclusioni storiche generali, l’assenza di coordinate spazio-temporali per la maggior parte di esse ed infine la difficoltà d’uso nel delicato tema del rapporto fra cristianesimo ed ebraismo.

Sinossi delle testimonianze monumentali del paleo-cristianesimo siciliano

L’autore non si esime dal recensire nell’ultima parte del primo tomo i monumenti (molti dei quali già segnalati nei precedenti lavori di Orsi, di Pace e di Garana oppure di recente acquisizione),8 senza menzionare testimonianze archeologiche tardo-antiche di dubbio carattere cristiano né quelle posteriori di chiara età bizantina. L’ordine adottato nella menzione dei siti obbedisce ad un criterio geografico sulla base dell’ Itinerarium Antonini.

Siracusa mantenne il ruolo di protagonista anche nella diffusione della Buona novella cristiana (191-192). Le ricche testimonianze archeologiche dimostrano che già alla fine del II secolo d.C. la comunità cristiana era in piena espansione. L’Oriente sembra ad oggi essere la fonte del nuovo messaggio che viaggiava attraverso le secolari rotte mercantili che legavano l’isola al Mediterraneo orientale. Il ruolo di Roma e dell’Africa nella diffusione del cristianesimo sull’isola non trova conferma archeologica databile solo a partire dalla metà del III secolo. L’assenza di tracce cristiane nella parte occidentale va addebitata all’asfissiante presenza della classe senatoria romana di forte fede pagana che parassitariamente sfruttava le ricchezze dell’isola. Le scorribande barbariche che diedero inizio al crollo dell’edificio latifondistico romano e la contemporanea ascesa dell’autorità pontificia furono fattori determinanti per la sua completa cristianizzazione.

Per evidenziare il riflesso di particolari condizioni economiche e sociali che nel IV secolo fecero da remora alla diffusione del messaggio cristiano, il Rizzo, basandosi sugli studi di Uggeri,9 analizza i percorsi dell’Itinerarium Antonini (193-197 e Tavola III). Rizzo suddivide l’isola in tre zone (Sud-orientale, Centrale, Litoranea) e sei raggruppamenti in base ai differenti “contesti socio-economici” (199-205 e Tavole IV-VIII).

Nella “sinossi” finale (207-232) si enucleano in brevi schede i monumenti che nelle singole località dei sei raggruppamenti precedenti, testimonino la presenza cristiana. Alla fine di ogni scheda è inserita una breve bibliografia abbreviata.

Nella sua “Postfazione” (233-235), Rizzo trae le conclusioni generali: il fenomeno del cristianesimo acquistò visibilità in Sicilia lungo il IV secolo, per poi assurgere ad elemento determinate nel V in ragione dello sconvolgimento socio-economico che l’isola subì a causa delle invasioni barbariche. Il VI secolo, infatti, vide come fattore primario il cristianesimo che ebbe in Sicilia una triplice polarità (Oriente, Africa, Roma).

Chiudono il volume un “Indice dei nomi propri e delle cose notevoli” (237-260), gli “Addenda” (261) e i “Corrigenda” (263).

Volume B 2

La raccolta dei testi, curata da Alessandro Pagliara, è divisa in tre sezioni di diversa natura e lunghezza.

A: TESTIMONIA HAGIOGRAPHICA (testi: 1-21, di cui 8 in greco e 13 in latino)

B: TESTIMONIA QUAE AD LITURGIAM PRAECIPUE PERTINENT (testi 22-30, di cui 4 in greco e 5 in latino)

C: TESTIMONIA QUAE AD ALITER ATQUE ALITER IN MEMORIAM REDACTA SUNT (testi 31-193, di cui 47 in greco e 116 in latino)

Nella prima sezione sono raccolti i veri e propri testi agiografici ( Encomia, Passiones, Martyria, Miracula, Vitae). Nella seconda, quelli attinenti alla liturgia ( Carmina, Canones, Contacia, MH, SK, MR). Nella terza, infine, le citazioni della chiesa siciliana nelle opere di 72 autori antichi.

Dal punto di visto prettamente formale, i due tomi del secondo volume presentano alcune mancanze quali l’assenza di un sommario in lingua straniera, di una lista delle abbreviazioni bibliografiche (ad eccezione di alcune più recenti utilizzate in seguito citate negli Addenda; ciò rende pertanto indispensabile l’acquisizione di tutta l’opera) e di un buon apparato iconografico (ad eccezione delle carte topografiche della Sicilia). Nonostante ciò, la variegata opera di Rizzo, dedicata alla storia del cristianesimo siciliano nei primi cinque secoli della nuova era, risulta quanto mai utile per iniziare lo studio troppo a lungo trascurato della storia tardo-antica della Sicilia.

Frutto di un duro lavoro di ricerca, la monografia del Rizzo, pur ricca di testimonianze letterarie antiche (latine e greche) ma priva di quelle epigrafiche (che, come già evidenziato dallo stesso autore, sono ancora in attesa di un corpus esaustivo che le raccolga), ricostruisce una visione ancora un po’ sbiadita dei primordi del cristianesimo siciliano. L’accento sulla precoce (ma fino a che punto?) latinizzazione della Sicilia, la creazione dell’antagonismo con Bisanzio in età teodoriciana, l’assunto insomma che la Sicilia facesse ormai parte del Medioevo occidentale (già dal V secolo) e non invece come provincia occidentale dell’Impero della Nuova Roma (almeno fino all’arrivo dei Normanni), comporta una ricostruzione adeguatamente polarizzata. La dipendenza dalla sede papale andrebbe forse ascritta più a fattori economici (il patrimonio di San Pietro poteva controllare ingenti risorse finanziarie nell’isola) che non a sentimenti di filiale devozione nutriti dalla Chiesa siciliana. Questi sono comunque interrogativi che la futura ricerca storica con il supporto delle altre scienze ausiliari tenterà di chiarire, seguendo la rotta che il Rizzo ha amorevolmente tracciato per noi.

Notes

1. S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale: la Sicilia, in Santi e demoni nell’Alto Medioevo occidentale (Secoli V-XI). XXXVI Settimana di Studi del centro di Studi sull’Alto Medio Evo (Spoleto, 7-13 aprile 1988), Spoleto 1989, pp. 319-376.

2. C’è chi sostiene l’esistenza di una vera e propria scuola innografia siracusana. Cfr. H.G. Beck, Handbuch der Altertumswissenschaft, 2. Byzantinisches Handbuch, 1. Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, München 1959; André Guillou, La cultura nell’Italia bizantina dal VI all’VIII secolo, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo, II, Roma 1981, pp. 575-586; Jean Irigon, La culture byzantine dans l’Italie méridionale, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo, II, Roma 1981, pp. 587-603.

3. Acta Apostolorum, 28, 11-12.

4. Sed … quales litteras in Siciliam quoque miserimus subiectas habebis : Presbyteri Romani, Epistula ad Cyprianum, 31, 5.2. Cfr. Testimonia 143.

5. Porfirio (233-305 ca.), allievo di Plotino, compose la Lettera a Marcella. In essa, sotto le spoglie di un protrettico di filosofia morale, l’autore nasconde l’apologia dei principi teorici e pratici del mondo culturale greco. Cfr. Porfirio. Vangelo di un pagano, a cura di Angelo Raffaele Sodano, Milano 1993.

6. Il testo del Episcoporum Syracusanorum Numerus ( Testimonium 76) che si trova riprodotto in folio in un volume della Biblioteca Comunale di Palermo, è stato edito per la prima volta a Venezia da Cristoforo Scobar (1520) e ripreso, con alcune varianti, dal Pirri (1646). Entrambi citano la fonte, oggi scomparsa, con il nome di Archetypum o Catalogus. In questa chronotaxis sono elencati i nomi dei vescovi di Siracusa dal I al V secolo d.C. A proposito di ognuno di essi, l’anonimo compilatore offre poche e scheletriche notizie.

7. La Chronotaxis siracusana c’informa dei vescovi Germano e Stefano. Il primo edificò le Chiese di San Paolo, di San Pietro a Siracusa e di San Fokà a Priolo (dove fu sepolto), il secondo di San Pietro (ad Baias), San Giovanni a Catania, e di Sant’Arcangelo a Modica (dove fu sepolto). Cfr. Testimonia 76.

8. Cfr. G. Bejor, Gli insediamenti della Sicilia romana. Distribuzione, tipologia e sviluppo da un primo inventario dei dati archeologici, in Società romana e impero tardo-antico, 3. Le merci. Gli insediamenti, Roma 1986, pp. 463-519; R.J.A. Wilson, Sicily under the Roman empire. The archaeology of a Roman province, 36 B.C. – A.D. 535, Warminster 1990; R. M. Bonacasa Carra, Quattro note di archeologia cristiana in Sicilia, Palermo 1992; M. Sgarlata, Frühchristliche Archäologie in Sizilien. Neue Forschungen und Entdeckungen, in RomQSchr, XC (1995), pp. 147-182.

9. Cfr. da ultimo G. Uggeri, La viabilità della Sicilia in età romana, Galatina 2004.