BMCR 2007.04.55

Χρονολογία Comparata. Vergleichende Chronologie von Südgriechenland und Süditalien von ca. 1700/1600 bis 1000 v.u.Z

, Χρονολογία Comparata. Vergleichende Chronologie von Südgriechenland und Süditalien von ca. 1700/1600 bis 1000 v.u.Z. Wien: Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 2006. 260 pages. ISBN 9783700137290. €68.80.

La bibliografia sull’argomento delle relazioni tra mondo egeo e Penisola italiana conta un numero cospicuo e articolato di contributi, commisurato alla crescente importanza della periferia occidentale del mondo miceneo sia da un punto di vista meramente quantitativo, ossia per il costante incremento di attestazioni di presenze egee in Italia,1 sia da quello qualitativo. Condizioni e contesti di ritrovamento concorrono infatti alla definizione di uno spettro estremamente eterogeneo e vario di testimonianze, che costituiscono materia di analisi per molteplici e variegati punti di vista e forniscono argomenti di riflessione sulla natura e i modi dei contatti, inquadrabili nell’ambito di imprese individuali di viaggio ed esplorazione o in transazioni organizzate di tipo commerciale, nel contesto di fenomeni di mobilità demografica o di altri complessi episodi di acculturazione. I più disparati campi di indagine, dalla tecnologia all’economia di sussistenza fino allo studio degli assetti politici e dei paesaggi di potere,2 risultano coinvolti nella discussione delle connessioni italo-micenee. Gli studiosi che si sono più attivamente occupati di Micenei in Occidente hanno pertanto accolto la sfida offerta dalla complessità e dal fascino delle problematiche delineate, cimentandosi in discussioni di taglio teorico e proponendo sintesi e interpretazioni di carattere generale sul tema dell’impatto miceneo sulle società italiane dell’età del bronzo.3

In questo quadro, che annovera contributi di classificazione e sistematizzazione relativamente recenti e per lo più parziali,4 mancava una compiuta puntualizzazione dei dati in una prospettiva rigorosamente aderente ai materiali e fondata su un approccio comparativo perfettamente bilanciato per quanto riguarda lo spazio riservato ai contesti egei da una parte, a quelli italiani dall’altra, e regolata da un parametro basilare della ricerca archeologica, quello cronologico. Il volume di Reinhard Jung sulla cronologia comparata dell’età del bronzo tra Egeo e Penisola italiana riempie questa lacuna: ponendosi in una prospettiva di sostanziale continuità tematica e metodologica con i lavori degli studiosi dei contesti dell’età del bronzo italiana, esso offre una rielaborazione razionale, sistematica e completa dei dati editi.

Dopo un’introduzione metodologica (“1. Methodik“), in cui si illustrano sinteticamente alcuni punti problematici della storia delle ricerche e si chiarisce l’intelaiatura di cronologia relativa adottata per l’Italia, l’autore presenta le classi di materiali utilizzate (“2. Die zur vergleichenden Datierung herangezogenen Artefaktkategorien“), ossia ceramica micenea decorata di importazione e di imitazione dai contesti italiani — ceramica classificata secondo la tipologia proposta da M. Bettelli (2002) per le produzioni italo-egee, ma riferita al sistema di Furumark laddove si tratti di imitazioni fedeli di modelli micenei —, ceramica d’impasto con superfici lucidate ( Handgemachte Geglättete Keramik / Handmade Burnished Ware) e ceramica grigia prodotta al tornio ( Graue Drehscheibenware, originariamente definita pseudomynische Keramik da K. Kilian) dai contesti egei. L’ultimo paragrafo del capitolo è dedicato ai problemi specifici riguardanti i bronzi e in particolare quelle classi note come Urnfield bronzes o bronzi della koinè ( Bronzeschmuck, -waffen und -geräte), che negli ultimi secoli dell’età del bronzo presentano tipi affini e talora assolutamente coincidenti nelle produzioni di regioni comprese in un vastissimo ambito geografico-culturale, tra l’Europa centrale, l’Italia, la penisola balcanica e il mondo egeo-mediterraneo.

L’autore individua quindi (“3. Italien“), dedicandovi una serie ben articolata di paragrafi, i contesti archeologici italiani affidabili dal punto di vista stratigrafico ove siano presenti materiali di importazione o di imitazione egea e utilizza questi ultimi per compiere un’accuratissima analisi tipologico-comparativa avente lo scopo di stabilire relazioni rilevanti dal punto di vista cronologico. Mediante analoghi parametri egli infine analizza i contesti egei (“4. Griechenland“) con presenza di ceramica d’impasto e grigia éo di bronzi che appaiono indiscutibilmente dipendenti da modelli italiani.

Chiude il lavoro un capitolo di riepilogo, preciso ed essenziale, tradotto anche in italiano e in greco,5 nel quale vengono ribaditi e valorizzati quegli elementi della discussione più utili e dirimenti ai fini dell’assunto della ricerca, che è quello di uniformare la cronologia italiana e quella egea attraverso la sincronizzazione delle sequenze relative utilizzate nei due ambiti: tale assunto è visualizzato in conclusione in un’utile tabella, che offre un quadro sinottico di cronologia relativa delle fasi evolute dell’età del bronzo in ambito italiano (Bronzo Medio, Bronzo Recente e Bronzo Finale: BM, BR, BF) e in Grecia (Tardo Elladico I-Submiceneo: 1700/1600-1000 a.C. ca.).

Come esplicitamente dichiara nella premessa, nell’ambito delle classi utilizzabili l’autore intende prendere in considerazione solo i materiali che possano costituire degli attendibili indicatori di cronologia, materiali cioè la cui variabilità tipologica — di morfologia e stile decorativo — sia giudicata sensibile al passaggio del tempo in base a ritmi e dinamiche sistematicamente verificabili e quantificabili. Il pregio primario del lavoro deriva dall’approfondita conoscenza che lo studioso ha dei manufatti, tanto della ceramica dipinta riferibile a modi di produzione centralizzati e standardizzati di ambito miceneo quanto delle produzioni vascolari della protostoria europea ed italiana, inquadrabili in uno spettro variegato di modelli produttivi, da quello domestico a quello semi-industriale. In particolare la sua familiarità con le produzioni micenee “periferiche”, dai contesti della Macedonia a quelli siriani,6 dovrebbe fornire garanzie contro i rischi e i fraintendimenti imputabili, nella lettura del dato ceramico e soprattutto nella ricerca di modelli per le produzioni italo-micenee, a irregolarità e difformità delle produzioni, in particolare nel caso in cui a essere imitati non fossero i prodotti delle botteghe palaziali dell’Argolide, ma quelli di regioni marginali meno sensibili ai modelli centrali, quali Creta o il Peloponneso nordoccidentale.

Per quanto riguarda la discussione delle singole classi considerate, utile e originale è la trattazione della ceramica d’impasto e di quella grigia (2.2). Allo scopo di isolare i contesti egei caratterizzati dalla presenza di manufatti i cui modelli siano univocamente riconducibili a produzione italiane, l’autore mette a frutto la sua approfondita conoscenza di materiali e contesti dell’Europa sudorientale, che gli consente di escludere l’influsso di modelli balcanici sulla maggior parte delle evidenze di ceramica d’impasto dai contesti del TE IIIB evoluto e del IIIC-SM. Queste vengono opportunamente suddivise in tre gruppi: le produzioni dipendenti da modelli italiani (in particolare manufatti da Chanià, Cnosso, Teichos Dymaion, Menelaion, Tirinto, Korakou, Dimini), la ceramica che imita forme micenee canoniche e, infine, quella indipendente tanto dai modelli esterni quanto dalle influenze delle produzioni dipinte e riconducibile piuttosto ad antiche e radicate tradizioni regionali (si vedano ad esempio le accurate discussioni dei materiali provenienti dalle isole ionie, da Kalapodi, da Delfi, da Egira). Uno dei criteri utilizzati per ridimensionare il ruolo dell’area balcanica e dell’Egeo settentrionale nella diffusione della ceramica d’impasto si basa su un’attenta analisi della distribuzione dei complessi vascolari caratterizzati dall’associazione di decorazioni a cordoni impressi e a cordoni lisci, questi ultimi in particolare frequenti su olle e vasi troncoconici (p. 26): tali evidenze, diffuse in Grecia, caratterizzano le produzioni d’impasto dell’Italia meridionale, mentre sono per lo più assenti nelle regioni balcaniche meridionali direttamente confinanti con la Grecia micenea, come Tracia, Macedonia e Serbia. La netta soluzione di continuità nella distribuzione di questo tipo di decorazioni plastiche tra i complessi egei e alcuni contesti della Romania, della Moldavia e dell’Ucraina rende poco accettabile l’ipotesi di alcuni, secondo i quali i modelli delle produzioni egee sarebbero da individuare in queste ultime regioni.

A rendere concretamente percepibili i rapporti diretti tra la ceramica d’impasto egea e quella italiana del Bronzo Recente e Finale sono soprattutto le anse configurate (a corna di lumaca, ornitomorfe, ad ascia), in particolare se associate a tazze carenate. Tra le evidenze più notevoli e di più recente rinvenimento spiccano quelle di Dimini, in Tessaglia, dove, tra l’altro, la presenza di una specifica classe di materiali, quella dei sostegni o “fornelli” ( Herdständer, con confronti al Menelaion di Sparta e a Tirinto), induce Jung a riconoscere legami con materiali dell’Italia settentrionale, in particolare da Frattesina in Polesine (p. 35, tav. 14). Questa circostanza potrebbe indurre a un’analisi più approfondita dei contesti balcanici nordoccidentali e adriatici, ossia quelli più vicini all’Italia nordorientale, che sembra sia stata coinvolta per vie marittime in rapporti con l’Egeo. L’autore ritiene che l’impossibilità di riconoscere una trama coerente di relazioni tra i contesti della Grecia meridionale e queste distanti regioni balcanico-adriatiche renda tale analisi poco praticabile (p. 33); ammette, d’altra parte, che lo stato poco soddisfacente delle conoscenze e delle pubblicazioni dei materiali della Grecia nordoccidentale e dell’Albania, determinando una lacuna nella carta di distribuzione della ceramica d’impasto, potrebbe falsarne il quadro reale.

Quanto alla ceramica grigia prodotta al tornio, l’autore si dimostra consapevole di avere a che fare con i prodotti di una complessa sovrapposizione e integrazione di modelli micenei e modelli esterni e usa pertanto grande circospezione e rigore nelle scelte delle documentazioni utilizzabili e nei passaggi analitici. Mentre considera utili per istituire sincronismi con l’Italia in particolare alcuni vasi di Dimini, lascia impregiudicate alcune attribuzioni, ad esempio nel caso della ceramica di Tirinto e in quella di Chanià, quest’ultima ricondotta a modelli locali. Anche le classi di oggetti metallici sono non poco problematiche; la variabilità stilistica dei bronzi, per lo più pertinenti a circuiti di scambio esclusivi, poteva essere sottoposta a dinamiche diverse rispetto a quelle che regolavano la variabilità della ceramica; fenomeni di conservatorismo, di rifiuto o accoglimento di modelli a prescindere dall’intensità dell’interazione e piuttosto per motivazioni di natura ideologica potrebbero rendere particolarmente difficile la ricerca di prototipi e somiglianze univoche; a ciò si aggiungano le possibili discrepanze nei ritmi di deposizione tra ceramica e bronzi, i quali potrebbero essere degli indicatori cronologici poco attendibili, in particolare nei contesti di circolazione a lunga distanza. L’autore è pertanto molto rigoroso e coerente nella scelta delle classi di bronzi e, al loro interno, dei manufatti affidabili per la comprensione dei rapporti tra Italia e Grecia durante l’età del bronzo. A questo proposito è esemplare la discussione dei coltelli (p. 54): tra i molti coltelli a lingua da presa delle ultime fasi del Tardo Elladico, solo i due sicuramente riferibili al tipo Matrei, ossia quello di Lefkandì e quello dell’insediamento del TM IIIC di Cnosso ( Stratigraphical Museum Extension), costituiscono per Jung degli attendibili indicatori di rapporti esclusivi tra Italia ed Egeo. Meno convincente è forse la corrispondenza cronologica che l’autore istituisce tra contesti dell’Italia meridionale (Broglio di Trebisacce, BR 2) e di Creta (Cnosso, TM IIIC iniziale) sulla base del confronto formale tra un coltello di Broglio e il coltello di Cnosso, confronto che non risulta a mio avviso stringente, se non per la generica appartenenza di entrambi al tipo Matrei, la cui contestualizzazione cronologica in ambito italiano non è a tutt’oggi completamente chiarita.

Efficace è la trattazione delle spade a lingua da presa (Naue II) (p. 55), le cui varietà egee A e C della classificazione di I. Kilian-Dirlmeier (1993) sono riportate ai tipi Cetona e Allerona rispettivamente del Bronzo Recente del Bronzo Finale in Italia. La posizione di Jung, che sostiene una forte interazione tra produzioni egee e modelli italiani, sembrerebbe oggi confortata dalle numerose testimonianze di spade a lingua da presa della media età del bronzo nelle regioni dell’Italia nordorientale (in particolare necropoli dell’Olmo di Nogara), che potrebbero aver avuto una funzione prioritaria nella diffusione di modelli e tecnologie rispetto ai distretti centroeuropei e balcanici.

Nella rassegna sistematica dei contesti italiani (“3. Italien“) vengono analizzati in successione, per il Bronzo Medio italiano, quelli di Capo Graziano dell’Acropoli di Lipari e di Filicudi (fase evoluta o 2 corrispondente al BM 1-2 in Italia continentale), quelli del periodo detto del Milazzese di Lipari, di Capo Milazzese di Panarea e di Portella di Salina (BM 3 in Italia), quelli protoappenninici di Punta Mezzogiorno (BM 1) e Punta d’Alaca a Vivara (BM 2) e infine, in Puglia, alcune evidenze dagli strati più profondi di Punta Le Terrare (BM 2-3) e gli strati del Bronzo Medio di Rocavecchia.

Servendosi di una serie amplissima di confronti puntuali e attraverso la discussione delle varie attribuzioni già proposte dagli studiosi, Jung istituisce delle correlazioni tra le fasi 1 e 2 del Bronzo Medio italiano e, rispettivamente, il τε ι e il τε ιια7 mentre il Bronzo Medio 3 abbraccerebbe un orizzonte corrispondente al TE IIIA 1 e anche in parte al IIIA spät /IIIA 2; il sincronismo con quest’ultima fase sembra tuttavia determinabile soltanto in base alla ceramica egea negli strati di distruzione del BM 3 dell’insediamento pugliese di Rocavecchia, distruzione avvenuta presumibilmente in un momento non avanzato del TE IIIA 2.8 C’è da chiedersi come mai il TE IIIA 2, fase apparentemente lunga e documentata da un repertorio assai ampio e articolato di prodotti ceramici nella Grecia micenea, sia documentato in maniera cos limitata e trovi rari e incerti termini di correlazione cronologica. Il Bronzo Recente antico (BR 1) comincerebbe infatti nel corso del TE IIIB e corrisponderebbe prevalentemente ai momenti più evoluti di questa fase. Per quanto riguarda il Bronzo Recente italiano, sono analizzati alcuni contesti di Broglio di Trebisacce e Torre Mordillo nella Calabria ionica, quindi dell’Ausonio I di Lipari, di Coppa Nevigata e ancora di Rocavecchia in Puglia. In base alle correlazioni possibili la fase italiana del Bronzo Recente 1 finirebbe nel corso del TE IIIC iniziale, quella del Bronzo Recente 2 durerebbe fino al IIIC medio avanzato ( Fortgeschritten). Convincenti per la sincronizzazione della fine dell’età del bronzo recente sono soprattutto i confronti proposti per i motivi apposti sulle spalle dei grandi vasi chiusi da Broglio di Trebisacce (tavv. 4-5).

Nell’ambito dei contesti evoluti del Tardo Bronzo, databili alla fine del Bronzo Recente o alla transizione al Bronzo Finale, l’autore prende in considerazione anche il deposito di bronzi di Pila del Brancòn, in Italia settentrionale (p. 148), che sembrerebbe offrire la più antica documentazione di spade italiane di tipo Allerona, documentazione che rappresenta anche il più antico termine di confronto per una serie di spade egee trattate nei capitoli successivi.

Le correlazioni per l’età del bronzo finale italiano sono proponibili quasi esclusivamente per le fasi avanzate del periodo (BF 2-3), come illustrano le situazioni deposizionali di Rocavecchia e di Punta Meliso – S. Maria di Leuca in Puglia, siti importantissimi per l’evidenza di un nuovo ciclo di connessioni egee, caratterizzate da un’interazione diretta e profonda tra produzioni locali e modelli micenei periferici, ben identificabili nelle produzioni del Peloponneso nordoccidentale, a testimonianza di una gravitazione ora nettamente adriatica. La fase piena del Bronzo Finale italiano (BF 2) è chiaramente correlabile con un orizzonte evoluto dell’Egeo postpalaziale, che Jung tende a delimitare tra il TE IIIC Spät e il Submiceneo.

Dopo un trattazione estremamente sintetica della Sicilia, nella quale vengono sostanzialmente esposti i limiti all’utilizzazione di materiali e contesti isolani a scopi di sincronizzazione italo-egea — limiti dovuti soprattutto alle gravi lacune nello stato delle pubblicazioni —, l’autore si sposta sul versante greco e discute, in successione, alcune importanti evidenze di materiali con riscontri in contesti italiani da Micene (guance di impugnatura di spada Naue II da un contesto del TE IIIB medio; matrice di ascia ad alette dalle rovine delle case esterne all’acropoli, IIIB medio), Tirinto (ceramica d’impasto, pithoi con decorazione impressa e fibule), Chanià (tazze in ceramica d’impasto del TM IIIB 2, con vari confronti italiani, tra i quali spiccano quelli con esemplari del Bronzo Recente 2 da Moscosi di Cingoli, nelle Marche, e frammenti del TM IIIC Argo (fibule ad arco semplice asimmetrico con nodi), Pilo (bacino con decorazione di tipo protovillanoviano dalla tomba K2), Lefkandì (ceramica di impasto del TE IIIC Früh-Entwickelt, con ottimi confronti in contesti del BR 2 di vari insediamenti italiani), Dimini (ceramica d’impasto e grigia dagli strati pertinenti all’insediamento del TE IIIC iniziale con confronti in contesti italiani tanto del BR 1 quanto del BR 2), Korakou (ceramica d’impasto), Teichos Dymaion (pugnale Pertosa), e da diversi contesti funerari dell’Acaia caratterizzati dalla presenza di spade a lingua da presa flangiata (Spaliareikà-Lousikà, Portes, Kallithea, Krini, Tripes): da questi ultimi si evince che le spade equiparabili a quelle di tipo Allerona del Bronzo Finale italiano non compaiono in contesti anteriori al TE IIIC Fortgeschritten.

Anche nel capitolo sui contesti egei pochi e del tutto marginali per l’assunto della ricerca sono i passaggi passibili di critica. Per quanto riguarda i materiali di Micene, non mi pare che possa essere discussa l’interpretazione della parte di immanicatura in avorio (tav. 15, 2), riportata da Jung al modello delle più antiche produzioni di spade di tipo Cetona in Italia. Suscita invece qualche perplessità la trattazione della nota matrice di ascia ad alette (tav. 15, 1). L’ascia di tipo Pertosa ricostruibile dalla matrice appartiene alle produzioni italiane del Tardo Bronzo: se pure non si può escludere la possibilità che la matrice venisse già prodotta all’inizio del Bronzo Recente, va però tenuto presente che il tipo caratterizza in particolare la circolazione della fase più avanzata del periodo (BR 2), tanto che trova assoluta continuità tipologica nelle produzioni del Bronzo Finale iniziale. Una proposta di correlazione tra il contesto cronologico della matrice di Micene e la fase più antica del Bronzo Recente italiano, sia pure avanzata in termini metodologicamente corretti (il manufatto rappresenterebbe un terminus post quem non per l’inizio del BR 1 in Italia), è scarsamente condivisibile e rischia di apparire alquanto forzata.

Per quanto riguarda la ceramica di Tirinto e di Dimini, va sottolineato che, sia pure nell’ambito di accostamenti legittimi e condivisibili a livello di affinità generica, non viene ribadito con sufficiente chiarezza in questo capitolo se i termini di confronto individuati nei contesti italiani per alcuni manufatti egei — in particolare per le tazze carenate: cfr. p. 186 per sincronismi riguardanti il BF 1; p. 203 per il passaggio BR 1-BR 2 — possano essere presi quali indicatori rilevanti di cronologia nelle sequenze italiane, ossia se si tratti di tipi/elementi tipologici esclusivi di un’unica fase o non piuttosto di lunga durata e pertanto poco dirimenti ai fini cronologici. Si resta inoltre leggermente perplessi quando l’autore, trovando confronti per i profili delle tazze d’impasto di Dimini tanto in contesti del Bronzo Recente 1 quanto in contesti del Bronzo Recente 2, ritiene che questa evidenza serva a dimostrare che il passaggio tra BR 1 e BR 2 in Italia sia avvenuto nel corso del TE IIIC iniziale. E se i produttori dei vasi con confronti nel BR 1, trasferitisi in quel periodo in Grecia, avessero continuato a fabbricare vasi secondo i modelli formali appresi nella madrepatria senza risentire dei ritmi evolutivi delle produzioni nei contesti di provenienza?

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli esiti delle circostanziate analisi comparative condotte dall’autore sono pienamente condivisibili; egli fonda le sue correlazioni su una serie di confronti quanto più possibile completa e nel far questo contribuisce in maniera notevole a un inquadramento solido e perspicuo sia dei materiali micenei in Occidente sia di quelli di tipo italiano in Egeo, ampliando considerevolmente l’orizzonte dei confronti per ogni oggetto analizzato e precisando attribuzioni e datazioni già proposte, spesso recando conferme, talora proponendo modifiche. È difficile trovarsi in disaccordo con i suoi inquadramenti, sempre acuti e circostanziati, anche se la verifica del suo procedimento analitico dipende dalla disponibilità del lettore a sottoporsi a un diuturno pellegrinaggio nelle biblioteche per recuperare le raffigurazioni degli oggetti: l’apparato illustrativo è infatti troppo limitato rispetto al respiro e allo spessore dell’impianto analitico.

In conclusione, l’impianto di cronologia comparata costruito da Jung appare fondato su basi solide. Ritengo che il suo lavoro incontrerà il favore degli specialisti e sarà un importantissimo strumento di riferimento per il prosieguo delle ricerche, ancorché — e di ciò l’autore è certo ben consapevole — alcuni passaggi attendano conferme dai dati che la ricerca futura renderà disponibili. Credo che i punti da chiarire e mettere alla prova siano in particolare i sincronismi che riguardano i limiti del Bronzo Recente 1 e la delimitazione del Bronzo Finale 1, fase, quest’ultima, poco consistente e dai lineamenti talora evanescenti.

L’affidabilità della proposta di Jung, anche nel caso dei passaggi meno chiari, dipende largamente dal rigore metodologico e dalla coerenza del quadro d’insieme, all’interno del quale ogni elemento trova la casella in cui adattarsi, senza contraddizioni. Il metodo della non contraddizione e della verosimiglianza fa parte del bagaglio degli strumenti euristici dello studioso senza peraltro entrare in conflitto con i procedimenti induttivi dell’analisi tipologico-comparativa.

Notes

1. Si vedano i recenti ritrovamenti, anche da contesti stratificati, da alcuni insediamenti del Veneto e delle Marche: L. Salzani, L. Vagnetti, R.E. Jones, S.T. Levi, “Nuovi ritrovamenti di ceramiche di tipo egeo dall’area veronese: Lovara, Bovolone e Terranegra”, in Materie prime e scambi nella preistoria italiana nel cinquantenario della fondazione dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Atti della XXXIX Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 25-27 novembre 2004, Firenze 2006, pp. 1146-1157; L. Vagnetti, E. Percossi, M. Silvestrini, T. Sabbatini, R.E. Jones, S.T.Levi, “Ceramiche egeo-micenee dalle Marche: analisi archeometriche e inquadramento preliminare dei risultati”, ibidem, pp. 1159-1172; cfr. inoltre i contributi in From the Aegean to the Adriatic: Social Organisations, Modes of Exchange and Interaction in the Post-palatial Times, International Workshop, Udine December 1st-2nd, in corso di stampa.

2. Paesaggi di potere. Problemi e prospettive. Atti del Seminario di Udine, 16-17 maggio 1996, a cura di G. Camassa, A. De Guio, F. Veronese, Roma 2000.

3. Si veda ora ad es. A. Cazzella, G. Cofini, G. Recchia, “Scambio alla pari, scambio ineguale: la documentazione archeologica e il contributo dell’Etnoarcheologia”, in Materie prime e scambi nella preistoria italiana nel cinquantenario della fondazione dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Atti della XXXIX Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 25-27 novembre 2004, Firenze 2006, pp. 145-168.

4. Oltre ai fondamentali contributi di L. Vagnetti, direttrice di un progetto di catalogazione e archiviazione delle presenze micenee in Italia, si veda M. Bettelli, Italia meridionale e mondo miceneo. Ricerche su dinamiche di acculturazione e aspetti archeologici, con particolare riferimento ai versanti adriatico e ionico della penisola italiana, Firenze 2002.

5. Ho collaborato alla correzione della traduzione italiana (cfr. p. 222). In quella fase non avevo letto il volume e non ero affatto coinvolta nel lavoro dell’autore.

6. R. Jung, Kastanas, Die Drehscheibenkeramik der Schichten 19 bis 11, Kiel 2002; L. Badre, M.-C. Boileau, R. Jung, H. Mommsen, “The Provenance of Aegean- and Syrian-Type Pottery found at Tell Kazel (Syria)”, Ägypten und Levante 15, 2005, pp. 15-47.

7. L’autore avrebbe forse dovuto proporre una spiegazione più esplicita della presenza, nella capanna δ III del villaggio della fase Capo Graziano dell’Acropoli di Lipari, di un piede di kylix (p. 67), per il quale accetta l’inquadramento del Taylour, inquadramento che non consente una datazione anteriore al TE IIIA 1.

8. Tra le rare attribuzioni non del tutto condivisibili, citerei quella di un frammento di vaso aperto decorato con tricurved arch e motivi secondari di archi concentrici (p. 101, tav. 3, 8) dallo strato del Bronzo Medio 3 di Rocavecchia: i confronti con le tazze del TM IIIA 1 e del IIIA 2 iniziale citate da Jung non sono stringenti; il frammento, per dimensioni, profilo e decorazione potrebbe essere riferito anche a una coppa biansata del TM IIIA 2 avanzato (o IIIA 2-IIIB, cfr. ad es. per la forma, E. Borgna, Il complesso di ceramica Tardo Minoico III dell’Acropoli Mediana di Festòs, Padova 2003, tav. 7; p. 200 per la discussione della diffusione del motivo decorativo in ambito egeo-mediterraneo.