BMCR 2007.05.29

Vergil: Bucolica – Georgica – Aeneis. Eine Einführung. Heidelberger Studienhefte zur Altertumwissenschafts

, Vergil, Bucolica, Georgica, Aeneis : eine Einführung. Heidelberger Studienhefte zur Altertumswissenschaft. Heidelberg: Winter, 2006. 235 pages ; 21 cm.. ISBN 9783825352653. €19.00.

Dopo il declino conosciuto nell’Ottocento, quando l’orientamento estetico romantico rivendicò il primato del patrimonio culturale greco e in particolare di Omero, gli studi virgiliani sono rifioriti nel XX secolo, fino a godere di uno sviluppo straordinario, direi quasi ipertrofico. La riscoperta della poesia virgiliana, che ha preso le mosse da due pietre miliari della filologia classica, la Virgils epische Technik di R. Heinze (Leipzig 1903, III ed. 1915) e il poderoso commento di E. Norden al libro VI dell’Eneide (Leipzig 1903, III ed. 1926), ha trovato espressione in una vastissima ed eterogenea quantità di ricerche, che talvolta rispecchiano prospettive tradizionali (Büchner, Wilkinson, Lesueur, Klingner et al.), talaltra seguono tendenze innovative (strutturalista, simbolista, semiologica, psicologica e simili: impossibile non pensare ai fortunati e discussi lavori di Pöschl, Buchheit, Otis, Putnam et al.). La poesia virgiliana (specialmente l’Eneide) è diventata addirittura materia di sperimentazione per eccellenza per le diverse tipologie critiche moderne e postmoderne, a riprova della sua pregnanza e polivalenza semantica. Un bilancio documentato ed equilibrato è tracciato da S. Harrison ( Oxford Readings in Virgil’s Aeneid, Oxford 1990, pp. 1-20) e da F. Serpa ( Il punto su Virgilio, Roma-Bari 1993). Conseguenza dell’enorme crescita di attenzione, che si è concretizzata in una produzione scientifica vastissima e feconda, ma anche controversa e magmatica, è stata la recente pubblicazione di monografie con ambizione di sistematicità, se non di completezza, con la finalità (talvolta dissimulata, ma percettibile e comunque ragionevole) di selezionare e riordinare la congerie culturale e ideologica sottesa a questa sterminata bibliografia. Così il XXI secolo si è aperto (a conclusione di una vera e propria aetas Vergiliana, anzi a inaugurazione di una nuova fase di essa) nel segno di corposi volumi monografici, tra cui spiccano quelli di A. La Penna ( L’impossibile giustificazione della storia. Un’interpretazione di Virgilio, Roma-Bari 2005) e N. Holzberg ( Vergil. Der Dichter und sein Werk, München 2006). Un indirizzo, questo, felicemente anticipato dal breve ma denso Vergil di Ph. Hardie (Oxford 1998).

In questo solco si colloca il volume monografico di M. von Albrecht, che si propone come un saggio introduttivo (“eine Einführung”, come dice il sottotitolo), ma mantiene molto più di quanto promette, dal momento che non si limita a offrire un chiaro ed efficace quadro d’insieme, ma supera i limiti del resoconto compilativo per fornire numerosi e interessanti spunti di approfondimento. Il libro si basa su uno schema rigoroso, diviso com’è in pochi capitoli di ampio compasso, che si articolano in paragrafi e sottoparagrafi brevi o brevissimi, ciascuno incentrato su un argomento circoscritto o su un singolo aspetto, affrontato sinteticamente. L’introduzione (i motivi per leggere Virgilio, oggi) è seguita da una sintesi biografica (pp. 1-13) e dall’analisi delle tre opere virgiliane (Bucoliche, pp. 14-64; Georgiche, pp. 65-106; Eneide, pp. 107-196), con una conclusione di poche pagine ma di vasta portata (sui metodi da applicare e sugli scopi da perseguire negli studi letterari), una stringata rassegna informativa sull’ Appendix Vergiliana (relegata in una posizione marginale, in un’unica pagina), una bibliografia ampia ma non ancora esaustiva, un utile indice di nomi e argomenti. La trattazione delle opere virgiliane muove da un’esposizione descrittiva, che ne percorre rapidamente la trama, l’articolazione narrativa, concettuale e ideologica, con speciale attenzione per le parti di maggiore importanza (punti nodali, motivi ricorrenti, procedimenti stilistici di spicco, etc.). Segue una breve problematizzazione (“Rückblick”), che presenta le principali questioni sollevate dalla critica, le diverse proposte e le possibili soluzioni; se non che la maggior parte delle domande rimane senza risposta, per la complessità di questa poesia e per l’impostazione stessa della discussione, tesa a stimolare la riflessione, non a sviluppare dimostrazioni o a formulare conclusioni definitive. Ciascuna delle tre opere è esaminata altresì da angolazioni specifiche, che ne illuminano le caratteristiche e le matrici culturali: generi e modelli, tecnica letteraria, lingua e stile, elementi di teoria letteraria, non senza una considerazione complessiva della tematica (“Gedankenwelt”), ossia la tendenza ideologica, l’influenza filosofica, la concezione esistenziale e così via. A conclusione di ognuna delle tre sezioni si trova una trattazione rapidissima, eppure ricchissima, della fortuna e della ricezione: a partire da un elenco di motti divenuti proverbiali, si passa per i più disparati generi letterari, fino ad arrivare al teatro e al melodramma. La tradizione manoscritta delle tre opere è discussa nella sezione sull’Eneide. I due maggiori problemi filologici di questo poema sono affrontati con approccio pragmatico e semplice buon senso: il cosiddetto “pre-proemio” non è altro che “den Versuch eines Buchhändlers, aus dem berühmten Namen Kapital zu schlagen”; mentre la scena di Elena (II, 567-588) è “bestenfalls eine Skizze Vergils” (p. 185).

Più che seguire lo sviluppo generale del libro ed elencarne i pregi, come il rigore metodico, lo spessore del pensiero, l’esame sintetico e incisivo (non riduttivo né banalizzante) di problemi complessi, lo stile perspicuo, mi piace segnalare alcuni spunti di approfondimento, che correggono e arricchiscono pur marginalmente il profilo di Virgilio invalso tradizionalmente. Sono percorsi interni, che si dipanano trasversalmente nel volume senza condizionarne significativamente l’impianto, per così dire, senza incrinarne il baricentro. Qui posso soltanto accennare a questi punti, che meriterebbero molto più spazio.

Un problema importante, che Virgilio affronta in diversi momenti nei propri scritti, riguarda il ruolo del poeta: la sua ispirazione, la sua collocazione nella società, le sue relazioni con la politica, le sue finalità. Molte figure delineate nelle Bucoliche, pur non essendo prive di autonomia psicologica, rappresentano altresì la vena poetica, ne esprimono le specificità e le differenti attitudini nelle circostanze storiche e nelle prove della vita. Ciò vale per Titiro ( Buc. I) e per tanti altri pastori-poeti, che cantano per lo più d’amore nel locus amoenus; ciò vale per personaggi divini o semidivini come Sileno ( Buc. VI) e Dafni ( Buc. V); non a caso tra questi compare un vero poeta, Cornelio Gallo ( Buc. VI e X). Dafni in particolare è un fondatore culturale al modo di Orfeo e Dioniso: “in ihm wird etwas von Vergils römischer Dichteridee sichtbar” (p. 44). Come cantore del puer destinato a segnare il ritorno del mondo all’antico splendore ( Buc. ι il poeta assume il ruolo di “profeta-visionario” (p. 51). Virgilio rinnova così il concetto arcaico del genio creativo come “Seher, Prophet und Sendbote der Polis ans Orakel” (p. 54). Nelle Georgiche la funzione della poesia come guida della vita collettiva è ribadita, anzi è portata a una più matura consapevolezza ed è integrata nella temperie ideologica della restaurazione dell’agricoltura, sulla scorta di una superiore scelta politica, condivisa tuttavia per un’intima esigenza di pace e serenità: “das Gewissen der Nation, kein Höfling, ist der Sprecher” (p. 70). Questa idea della poesia trova una conferma definitiva pur implicitamente nell’Eneide, tesa alla costruzione dell’identità romana più che alla celebrazione politico-propagandistica. Una spia della connessione tra ispirazione poetica e facoltà profetica è forse la provenienza dell’indovina Manto dalla terra di Mantova ( Aen. X, 199), paese natale di Virgilio stesso (p. 138). Il poeta è “un profeta-messaggero del verbo divino” (p. 170).

Al ruolo del poeta è legato il problema del suo silenzio: nelle Bucoliche e specialmente nella IX è significativa “die Poetik des Verstummens” (p. 36). Ma già nella I, se Titiro incarna il genio creativo in generale, Melibeo rappresenta il silenzio del poeta nei momenti difficili. Il medesimo significato si può attribuire a Dedalo, a cui il dolore impedisce di includere il figlio Icaro nei rilievi del tempio cumano di Apollo ( Aen. VI, 30-33): l’arte tace nelle avversità (p. 52). Ancora nell’Eneide la morte del bardo Creteo (IX, 774-777) adombra forse la fine dell’epica tradizionale; d’altronde esiste un collegamento tra Virgilio e Creteo, il cui oggetto di canto è definito arma uirum (v.777), con un sintagma graficamente e fonicamente uguale a quello (pur grammaticalmente diverso) usato nel proemio del poema (I, 1, arma uirumque cano): “wird hier ein Zweifel Vergils an seinem Unterfangen laut?” (p. 169).

La teoria letteraria è sviluppata in forma simbolica dalle Bucoliche all’Eneide con mirabile coerenza. Le tre opere si dispongono in un’ideale continuità, che si rispecchia anche in determinate caratteristiche dell’architettura e in alcune strategie narrative. Una tecnica avviata nelle Bucoliche, non adeguatamente studiata dalla critica, consiste nella concreta e cospicua influenza esercitata sulla situazione da una figura assente. Spesso il personaggio principale non si trova fisicamente nello scenario del componimento, in cui svolge nondimeno un ruolo determinante: così il giovane divinizzato ( Buc. ἰ, l’amato Alessi ( Buc. Iἰ, il pastore-poeta Dafni ( Buc. V), Menalca ( Buc. IX). Analogamente nell’Eneide. Nel libro IV non compaiono concretamente Anchise e Ascanio, l’uno essendo morto, l’altro restando in margine. I loro nomi però sono pronunciati da Enea esattamente al centro del libro (vv.351-355). Non è un caso, dal momento che proprio loro costituiscono i più forti argomenti di Enea nel difficile confronto con Didone: “sind Abwesende in besonderer Weise gegenwärtig” (p. 125). Lo stesso vale per Pallante, la cui importanza cruciale non è smentita né sminuita dall’assenza fisica, nella scena finale dell’Eneide. Lavinia domina “in aller Stille” la seconda esade dell’opera, posta sotto l’egida di Erato (pp. 156-157).

La continuità tra le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide è segnalata altresì da alcune immagini ricorrenti, come quella delle api, che passa dall’amena siepe di Buc. I alla trattazione esemplare di Georg. IV, per tornare nuovamente in una similitudine pregnante di Aen. VI, in connessione con le umbrae e con la vita oltremondana (p. 75). Allo stesso modo si ripetono altri temi, come il rapporto dell’uomo col mondo naturale (in chiave idealizzata nelle Bucoliche; in un’ottica realistica nelle Georgiche; nella forma mediata delle similitudini nell’Eneide) o la dialettica di morte e immortalità (cf. l’apoteosi di Dafni o la favola di Orfeo ed Euridice). La prima similitudine dell’Eneide (la fine della tempesta accostata a una scena di vita politica) costituisce una “risonanza” della prassi delle Georgiche, dove la descrizione delle api è infiorata di metafore militari (p. 153). In generale, nell’Eneide la natura rispecchia la volontà divina: Enea coglie e segue i segni dei numi nel mondo fisico, proprio come il contadino protagonista delle Georgiche (p. 111). Anche la forma metrica accomuna le tre opere, tra le quali evidentemente le analogie contano più delle differenze (p. 146). D’altra parte le Georgiche non sono semplicemente “eine Übergangsdichtung” (p. 75), ma “eine Schöpfung eigenen Profils” (p. 92).

Ma la cifra della poesia virgiliana, quale emerge da questa monografia in una prospettiva umanistica (nell’accezione solidamente tradizionale, non rigidamente retriva né banalmente retorica), è la vena di ispirazione universale, che attraversa le tre opere e si fa progressivamente più forte dall’una all’altra. Il genere bucolico è concepito da Virgilio come “Spiegel des gesamten Kosmos”: se nella maggior parte delle ecloghe prevale la dimensione erotico-psicologica, in una con la riflessione metaletteraria, la IV apre una visuale di storia universale, mentre la VI sviluppa una concezione cosmologica (p. 51). Nel genere bucolico Virgilio si fa “Schöpfer eines mehrschichtigen Kosmos”: egli riconduce gli eventi particolari a un piano di pensiero cosmico, universale (p. 54). Le Georgiche, al di là della forma letteraria, non si esauriscono nella finalità didascalica: lo spessore del contenuto fa pensare piuttosto a “un poema cosmologico, antropologico e poetologico” (p. 67). Infatti Vigilio svolge un discorso di ampio respiro, che riguarda “il cosmo, lo stato e il lavoro dei campi”: il paesaggio non è più un semplice sfondo (sia pur animato e partecipe dei sentimenti umani), bensì un “paradigma culturale” (pp. 71, 86). Fin dal libro I è evidente un complesso sistema di rapporti tra macrocosmo, lavoro del contadino e poeta-maestro (p. 92). A tutta l’opera è sottesa la teoria filosofica (di ascendenza presocratica, specificamente empedoclea) delle “quattro radici”: i libri I e II riguardano il mondo vegetale (terra e acqua); il III verte sugli animali (l’aria è chiamata in causa dalla trattazione meteorologica, ma anche dalla descrizione della peste); col libro IV “ist der Aufbau des Kosmos vollständig”, nella misura in cui la natura spirituale delle api corrisponde alla sostanza celeste o ignea (p. 95). Il poema presuppone il pensiero stoico, secondo cui l’uomo costituisce un “microcosmo”, che rispecchia in piccolo il “macrocosmo” dell’universo, a cui egli è collegato attraverso il “mesocosmo”, il mondo intermedio dello stato: le Georgiche “berücksichtigen von Anbeginn auch die Bedeutung der Politik für den Kosmos im allgemeinen und für die Landwirtschaft im besonderen” (p. 95). Anche nell’Eneide le similitudini sottolineano le relazioni tra la natura (macrocosmo), la dimensione individuale (microcosmo) e la politica (mesocosmo: trait d’union tra l’uomo e l’universo): i temi figurativi del libro II in particolare richiamano i quattro elementi empedoclei (pp. 116, 153). L’Eneide appare dunque, come e più delle opere precedenti, “Weltgedicht in Raum und Zeit” (p. 158). Nel poema epico il mondo naturale non è meno importante che in quello didascalico: nell’uno e nell’altro caso Virgilio ha voluto scrivere “un poema universale” (p. 171).

Il respiro cosmico dell’epos virgiliano mi consente di introdurre un ultimo punto, tra i molti degni di interesse nel pregevole libro di M. von Albrecht: l’Eneide come espressione della più universale tra le aspirazioni umane, quella alla pace. Il fulcro ideologico del poema, il precetto sul dovere del popolo romano ( parcere subiectis et debellare superbos), pronunciato da Anchise nell’Averno (VI, 851-853), considerato spesso un elemento politico-propagandistico a sostegno dell’imperialismo, è interpretato qui come un insegnamento profondamente civile, che sottolinea “nicht die Macht, sondern Frieden, Recht, Gesittung und Verantwortung sowie die typisch römische Kunst der Menschenführung” (p. 130). Le finalità della politica, affidate alla responsabilità romana, sono “pace, civiltà e clemenza” (p. 179). Alla luce di questa posizione ideologica, la tendenza espressionistica prevalente nella narrazione delle scene di battaglia, violentemente patetiche e finanche orrende, serve a suscitare ripugnanza per la guerra, di cui mette in luce la faccia più cruda, gli aspetti cruenti e luttuosi (p. 154). L’Eneide dunque si deve leggere “weniger unter machtpolitischem als unter zivilisatorischem Vorzeichen” (p. 173). La definizione tradizionale di poesia epica si attaglia alla forma dell’Eneide, non alla sua sostanza, che si configura come “poesia sacrale”, tesa alla costruzione della coscienza nazionale romana, che si basa sulla consapevolezza delle proprie origini storiche e mitiche, ma anche sulla devozione religiosa, consolidata nell’intimità come nella ritualità (p. 173). Intense venature di sensibilità umana affiorano dalle pieghe della narrazione epica: l’Eneide si rivela in definitiva “ein Ausdruck tiefer Friedenssehnsucht” (p. 182).