BMCR 2007.07.18

L’Epitome di Santa Croce dall’Anabasi di Arriano — Un bifoglio greco del decimo secolo nell’Archivio Diocesano di Urbino

, , L'epitome di Santa Croce dall'Anabasi di Arriano : un bifoglio greco del decimo secolo nell'archivio diocesano di Urbino. Urbino: Accademia Raffaello, 2006. 60 pages : color illustrations ; 24 cm. ISBN 8887573263. €16.30.

La storia della filologia ci ha abituato, anche in tempi recentissimi, alle sorprese provenienti dai papiri e dai palinsesti: basti pensare ai nuovi frammenti papiracei di Saffo (P.Oxy. 1787 frr. 1-2 + P.Köln 21351 + P.Köln 21376) e Archiloco (POxy 4708 fr. 1),1 oppure al nuovo palinsesto menandreo (Vat. Syr. 623), di cui attendiamo ancora la pubblicazione.2 Non sono mancate neppure le recenti novità provenienti da brandelli di pergamena riutilizzati per rinforzare i fascicoli di un nuovo codice, come nel caso dei tre nuovi frammenti di un foglio della metà del X secolo contenenti estratti dal De mensibus di Giovanni Lido pubblicati da Lidia Perria,3 oppure da fogli di pergamena riutilizzati come guardie, p. es. il foglio del X secolo — noto da tempo — di contenuto medico reimpiegato nel codice aristideo Ambr. A 175 sup.4 Di notevole importanza in questo ambito il recentissimo ritrovamento e la pubblicazione, da parte di Bravi (= B.), di un intero bifoglio del X secolo contenente un’epitome dall’ Anabasi di Arriano (otto colonne di testo, due per pagina, per un totale di 264 righi di testo, 33 per colonna), riutilizzato come copertina di un registro di spesa (relativo agli anni 1518-1545) del fondo di Santa Croce, ora conservato presso l’Archivio Diocesano di Urbino. Di questa scoperta B. aveva già dato notizia in un primo parziale contributo5 e ora ne rende compiuto conto nel presente volume.

Il volume, presentato da una breve prefazione di D. Ambaglio (pp. 7-9) e da una rapida premessa di B. (pp. 11-12), si articola in cinque capitoli. Nel primo (pp. 13-18) B. offre al lettore una precisa e dettagliata descrizione del registro e della sua legatura, nonché un’analisi paleografica e codicologica del bifoglio utilizzato per copertina. Nel secondo (pp. 19-26) B. analizza forma e contenuto dell’ Epitome di Santa Croce nell’ambito della tradizione indiretta di Arriano, costituita dal codice 91 della Bibliotheca di Fozio, dagli excerpta historica di Costantino VII Porfirogenito, dalle raccolte poliorcetiche (il codice miscellaneo dell’XI secolo Par. Suppl. Gr. 607 e il libello anonimo De obsidione toleranda) e dalla parziale epitome del libro IV conservata nel manoscritto Barocc. Gr. 137. Nel terzo capitolo (pp. 27-32) B., attraverso lo studio degli antichi inventari e di documenti d’archivio, formula con prudenza l’ipotesi che il bifoglio facesse parte di un manoscritto danneggiato della biblioteca ducale, giunto presso Santa Croce — forse per il tramite dell’ufficiale di Santa Croce Francesco Veterani, figlio del bibliotecario ducale Federico Veterani — poco dopo il 1504, quando le casse contenenti i libri della biblioteca ducale, depredata da Cesare Borgia nel 1502, furono ritrovate a Forlì dal duca Guidobaldo e riportate a Urbino. Nel quarto capitolo (pp. 33-49) B. produce una precisa edizione critica corredata di traduzione e di due apparati: nel primo vengono segnalate le corrispondenze (identità, lieve modifica, epitome) con i passi dell’ Anabasi di Arriano, nel secondo sono registrate le divergenze dalla tradizione manoscritta arrianea. Nel quinto capitolo B. offre un commento filologico al testo dell’ Epitome, distinguendo fra le peculiarità di quest’ultima gli errori, le minuzie puramente ortografiche, le vere e proprie varianti (e adattamenti), e riservando una discussione un po’ più ampia a un gruppo di lezioni significative che, a giudizio (condivisibile) di B., potrebbero trovare posto negli apparati (e talvolta nel testo) delle edizioni arrianee. Chiudono il volume un indice dei manoscritti (pp. 55-56), un indice dei nomi antichi e moderni (pp. 57-60) e un apparato di dieci splendide tavole a colori che permettono al lettore di verificare direttamente punto per punto i giudizi e le proposte di ricostruzione formulate da B. (la tavola 5 riproduce il disegno del tipo di rigatura, 20D2 Leroy, rilevabile sul bifoglio; la tav. 6 offre un repertorio dei tratteggi e delle legature notevoli).

Il libro è molto ben curato e i risultati delle ricerche di B., condotte con acribia e acume, sono sempre espressi con le dovute cautele, soprattutto quando, come nel caso della ricostruzione delle vicende che sembrano aver condotto il bifoglio a fungere da copertina al registro di conti (cap. 3), si tratti di ipotesi largamente congetturali, benché assai plausibili alla luce dei non molti dati ricavabili dai documenti. Di notevole interesse il serrato confronto operato da B. (cap. 2) tra il testo dell’ Epitome di Santa Croce e le varie tipologie di riduzioni testuali presenti nella tradizione indiretta di Arriano: ne emerge un chiaro quadro del complesso “lavorio librario e letterario compiuto nel decimo secolo attorno al testo degli storici antichi, in cui si inserisce il nostro lacerto” (p. 25), che è in linea con il fiorente enciclopedismo caratteristico del X secolo di cui parla L. Perria a proposito dei frammenti di excerpta da Giovanni Lido sopra menzionati (cfr. nota 3). B., grazie al differente trattamento dell’episodio dell’assedio di Tiro nei diversi testimoni indiretti, è in grado di concludere, in modo del tutto convincente, che il testo dell’ Epitome di Santa Croce è indipendente dal resto della tradizione indiretta. B. mette anche ben in luce il carattere peculiare della facies testuale dell’ Epitome, che, nonostante le condizioni frammentarie in cui ci è conservata, lascia trasparire i propri specifici obiettivi culturali: benché le vestigia superstiti consentano di affermarlo soltanto per la fine del libro primo e l’inizio del secondo, si tratta con ogni probabilità di un compendio esteso di tutta l’ Anabasi, tale da permettere una visione d’insieme dell’opera arrianea, senza ricorrere necessariamente alla lettura integrale, un obiettivo ben differente da quello presupposto dagli excerpta tematici che offrivano repertori di exempla, come le raccolte costantiniane. Puntuale e precisa anche la valutazione filologica del testo dell’ Epitome (pp. 51-53): oltre a banali sviste, trivializzazioni e meccaniche modifiche dei nomi propri, non sorprende la presenza di elementi utili alla constitutio textus (pp. 52-53), dato che la datazione del bifoglio al X secolo ci riporta a una fase della trasmissione anteriore all’archetipo conservato dell’ Anabasi arrianea, il codice Vind. Hist. Gr. 4, di solito assegnato alla fine del XII secolo o all’inizio del XIII.

Alcune osservazioni puntuali: a p. 15, nell’ambito di una per altro dettagliata e precisa descrizione codicologica del bifoglio (che è il bifoglio interno del fascicolo, come ci è garantito dalla continuità del testo), B. omette di segnalare la distribuzione del lato carne e del lato pelo, elemento che, dato il quasi universale rispetto della legge di Gregory e della collocazione del lato carne all’esterno del fascicolo, permetterebbe non certo di stabilire la precisa consistenza del fascicolo originario, ma almeno di sapere se esso fosse composto da un numero di bifogli pari (lato carne all’interno del bifoglio centrale) o dispari (lato pelo all’interno del bifoglio centrale). In effetti, nonostante l’usura del lato esterno, sembra che il lato pelo sia all’esterno. A p. 16 B. osserva che la posizione in ecthesis di alcuni righi non corrisponde a significativi tagli del testo “né è possibile che sia traccia della disposizione del testo di qualche ascendente, a giudicare almeno dalla apparente incostanza con cui ricorre.” In realtà la posizione in ecthesis di un rigo corrisponde sempre6 a una pausa forte (o percepita come tale), contrassegnata da ano o da mesai stigmai nel rigo precedente (non necessariamente in fine rigo). Si tratta semplicemente della scansione del testo atta a orientare e a facilitare la lettura: essa non è di necessità correlata alla scansione del testo originario arrianeo, offrendo così una testimonianza materiale della natura autonoma della forma epitomata rispetto al testo-origine. P. 16 n. 9: il contributo di L. Perria e A. Iacobini sul Vangelo di Dioniso è poi comparso (ampliato) in forma di volume, L. Perria – A. Iacobini, Il Vangelo di Dioniso. Un manoscritto bizantino da Costantinopoli a Messina, Roma: Nuova Argos Edizioni (Milion, 4), 1998. P. 17: utili elementi per un inquadramento delle scritture corsiveggianti del X secolo, nel cui ambito si inserisce, pur con caratteristiche peculiari, anche il ‘tipo Efrem’, si trovano negli studi di M. Menchelli.7 A p. 53, a proposito del testo di f. 2v col. I 19 (corrispondente ad Arr. An. II 5, 9), B. fa notare che il testo tràdito ( ἐνθένδε, lezione del Vindobonense) è stato corretto da Krüger, che ha introdotto la lezione ora attestata dall’ Epitome ( ἔνθεν δὲ); in realtà Krüger non ha corretto il testo tràdito (frutto di una semplice svista nella divisione delle parole della medesima sequenza di lettere), bensì quello vulgato dalle edizioni cinquecentesche, come si ricava dall’apparato di Roos ( ἐντεῦθεν δὲ).

Si tratta, comunque, di dettagli che non mettono in discussione il valore del volume di B., che costituisce certamente un importante contributo alla storia del testo di Arriano e un imprescindibile strumento per i futuri editori dell’ Anabasi di Alessandro, senza dimenticare che esso costituisce una lettura preziosa anche per chi si occupa della conoscenza del greco nell’ambiente urbinate tra Quattrocento e Cinquecento, nonché per gli studiosi della letteratura di raccolta nella particolare forma delle epitomi, fenomeno caratteristico della trasmissione di parte della storiografia antica.

Notes

1. Una recente messa a punto in A. Nicolosi, ‘Recuperi di lirica arcaica da papiri’, Atene e Roma n.s. 50 (2005), 80-94. Sul nuovo Archiloco vedi anche E.T.E. Barker, ‘Flight Club: The New Archilochus Fragment and its Resonance with Homeric Epic’, Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 57 (2006), 9-41.

2. Cfr. F. D’Aiuto, ‘ Graeca in codici orientali della Biblioteca Vaticana (con i resti di un manoscritto tardoantico delle commedie di Menandro)’, in L. Perria (a cura di), Tra Oriente e Occidente. Scritture e libri greci fra le regioni orientali di Bisanzio e l’Italia, Roma (Testi e Studi bizantino-neoellenici, 14), 2003, 227-296. Cfr. anche la versione italiana di un articolo di D. Harlfinger comparso sulla Neue Zürcher Zeitung del 29 dicembre 2003 (p. 16).

3. L. Perria, ‘Un nuovo testimone frammentario di Giovanni Lido’, Segno e Testo 1 (2003), 247-255, tables 1-2.

4. H. Diels, Bericht über der Stand der interakademischen Corpus medicorum antiquorum und Erster Nachtrag zu den in den Abhandlungen 1905 und 1906 veröffentlichen Katalogen: Die Handschriften der antiken Artze, I. und II. Teil, Berlin: Verlag der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften, 1907 (Abhandlungen, 2), 43.

5. L. Bravi, ‘Un’inedita epitome dall’ Anabasi di Arriano da Santa Croce di Urbino’, in R.M. Piccione – M. Perkams (hrsgg.), Selecta colligere, II, Beiträge zur Technik des Sammelns und Kompilierens griechischer Texte von der Antike bis zum Humanismus, Alessandria: Dell’Orso 2005, 245-252.

6. Vanno esclusi dal computo i righi al cui fianco nel margine si trova un asteriskos : le fotografie permettono, infatti di constatare che le ekteseis stampate nel testo sono esito di un errore tipografico.

7. M. Menchelli, ‘Il Vaticano Palatino gr. 173 (P) di Platone e il Parigino gr. 1665 di Diodoro’, Bollettino dei Classici s. III 12 (1991), 93-117; Ead., ‘Per la fortuna di Diodoro nel secolo X. Note sul Marciano gr. 375, il Vaticano gr. 130, il Neapolitano B.N. suppl. gr. 4’, Bollettino dei Classici s. III 12 (1992), 45-58; Ead., ‘Note sulla corsiveggiante del X secolo. Vat. gr. 1818 e Urb. gr. 105: uno stesso copista all’opera; un’altra testimonianza sul copista di P (Vat. Pal. gr. 173)’, Bollettino dei Classici s. III 17 (1996), 133-141.