BMCR 2009.02.39

Cicero on the Attack. Invective and Subversion in the Orations and Beyond

, Cicero on the Attack. Invective and Subversion in the Orations and Beyond. Swansea: The Classical Press of Wales, 2007. xiv, 215. ISBN 978-1-905125-19-7. $69.50.

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Come leggiamo nella pagina di Prefazione dell’editor Joan Booth, il volume pubblica i risultati di un colloquio di 2 giorni dedicato a ‘The Language of Ciceronian invective’, svoltosi all’Università of Wales Swansea nel maggio 2001: non è dato sapere fino a quando sia stata aggiornata la Bibliografia nel non breve lasso di tempo intercorso (alcuni saggi del 2004 sono comunque citati). La stessa B. nella sua breve Introduzione mette a fuoco e analizza le prospettive di ricerca che l’argomento offre e fa il punto sulla tematica, sottolineando che le orazioni permettono di vedere ‘in action’ un politico, Cicerone, che pure è anche un fine intellettuale e uno studioso di retorica. Già dai brevi riassunti dei saggi presentati dalla B. nella sua Introduzione emerge la difficoltà di definire e circoscrivere la nozione stessa di invettiva ed il suo raggio di azione: ogni autore offre un contributo, come vedremo, teso soprattutto ad individuare elementi particolari di un discorso molto complesso e sfaccettato, evitando così definizioni preconcette e soprattutto classificazioni nette. Osserva la B. a p. XII che “no contributor other than Uría explicitly situates his or her hypothesis or investigation within any theoretical framework” inserendo questa tendenza nella prospettiva critica del “new historicism”, nel senso direi di combinazione di tradizioni di pensiero diverse: anche se può apparire un punto di vista abbastanza ovvio, trattandosi dell’analisi di discorsi ciceroniani ben calati nel loro contesto storico culturale, la B. tende a sottolineare in questo un elemento di ‘novità’ e di coesione del volume, e quindi ne va preso atto. Certo è che non si può non consentire con lei quando afferma che non ci sono conclusioni nel volume perché “the aim is opening, not closure”.

Nel primo saggio dal titolo Invective and the orator: Ciceronian theory and practice, Jonathan Powell (P.) analizza con estrema sintesi, ma in modo molto efficace, i presupposti su cui si basa la sua analisi, distinguendo tra oratoria forense e politica e sul ruolo dell’invettiva nei due diversi ambiti, partendo anche dall’analisi del termine e cercando di operare una distinzione con il più generico ‘attack’ (non mancano neanche i confronti con la realtà socio-politica e giuridica moderna): egli applicherebbe il termine ‘invettiva’ in senso stretto solo alla In Pisonem, alla In Vatinium e alla seconda Filippica, in quanto hanno come scopo primario quello di colpire un avversario, mentre per esempio nella prima Catilinaria non c’è solo questo intento, ma anche la denuncia delle trame eversive del nemico politico. Da una distinzione come questa verrebbero ad essere non considerate ‘invettive’ alcune parti delle Verrine, che a mio parere costituiscono invece chiari esempi del genere, come poi nella pratica dell’analisi vediamo esemplificato: troppo sottile per esempio mi pare la distinzione svolta anche a p. 9 tra l’ in Pisonem e le Verrine, dato che i topoi e il linguaggio non sono certo dissimili.

I paragrafi successivi vertono su un sintetico quadro dell’invettiva a Roma nel contesto storico sociale, nella teoria retorica antica, nella pratica politica e forense, per approdare poi ad un’analisi, articolata in brevi paragrafi, dedicata a Cicerone: la domanda cui P. vuol rispondere con la sua indagine è il ruolo svolto dall’invettiva nella prassi forense ciceroniana e quindi si interroga rapidamente sulla presenza dell’invettiva nelle diverse tipologie di orazione, arrivando alla conclusione (p. 15 s.) che non può essere individuata una chiara differenza tra pubblico e privato. Considera il ritratto negativo di Sassia nella Pro Cluentio“the most colourful invective in the whole forensic corpus” (p. 16), ma si limita ad affermazioni piuttosto generiche: per permetterci di entrare nel laboratorio letterario di Cicerone sarebbe comunque stato utile dare almeno uno specimen interpretativo ed una bibliografia adeguata sull’argomento (mi limito a ricordare J.T. Kirby, The Rhetoric of Cicero’s Pro Cluentio, Amsterdam 1990 e E. Narducci, Cicerone e i suoi interpreti. Studi sull’Opera e la Fortuna, Pisa 2004, 55 ss.). In conclusione, come è naturale visto il carattere del tema, ci si interroga sulle problematiche relative dando delle risposte non ultimative, ma ‘aperte’: soprattutto si lamenta che ogni indagine che voglia essere rappresentativa sul piano socio-politico e non sul genus letterario si scontra col fatto che abbiamo solo la punta di un iceberg e cioè la testimonianza rappresentata da Cicerone stesso.

Il secondo capitolo contiene un saggio di Robin Seager, Ciceronian invective: themes and variations, incentrato su “three modes of attack in his invectives” nelle tre orazioni d’invettiva ( In Pisonem, In Vatinium, seconda Filippica, ma poi anche ovviamente dalle Verrine), vale a dire sul fatto che la condotta dell’oggetto di critiche è senza precedenti, che la sua negatività non ha uguali, ed infine valutando la synkrisis con altri comportamenti. Il contributo procede esaminando una casistica ben articolata secondo lo schema già detto: interessante mi sembra osservare che quando si arriva al tema della synkrisis il polo positivo del confronto è rappresentato dal comportamento di Cicerone stesso. Del tutto convincente si presenta l’analisi dei passi della In Pisonem alla p. 32 s. per es.: la comparazione tra l’accoglienza a Cicerone reduce dall’esilio e Pisone che torna dalla Macedonia rappresenta anche a mio parere il caso più emblematico.1 Prima di arrivare alle conclusioni, S. analizza rapidamente le stesse tipologie nelle invettive di Claudiano, dove troviamo esempi non dissimili: egli conclude che la via percorsa da Cicerone fu seguita almeno da Claudiano. Mi sembra utile aggiungere comunque che lo schema tipologico esaminato pare costituire l’esatto opposto della laudatio, dove i motivi dell’unicità e della synkrisis sono senz’altro presenti e ne rappresentano un carattere costitutivo (basti ricordare a proposito Quint. inst. 2, 1, 11 Non laus ac uituperatio certaminibus illis frequenter inseritur?).

Il contributo di Javier Uría, The semantics and pragmatics of Ciceronian invective, è quello che maggiormente corrisponde al tema del colloquio, da cui hanno origine i saggi contenuti nel volume, e cioè l’attenzione verso la componente linguistica delle invettive ciceroniane: la sua interessante indagine si focalizza su un personaggio minore, Sesto Clelio, ed in particolare sui sei passi dove questo scriba di Publio Clodio viene attaccato con allusioni oscene e doppi sensi, data la pruderie congeniale al linguaggio oratorio, che impediva espliciti riferimenti all’ambito sessuale. La sfera semantica esaminata è quella relativa a termini come os e lingua (con l’analisi anche del correlato spurcus da intendere come riferito alle abitudini sessuali), con qualche interpretazione a mio parere non priva di forzature riguardo a presunti sottintesi sessuali: per es. a p. 55 s. mi lasciano perplessa le considerazioni svolte per intendere praegustator e scriptor come allusivi a fellator, oppure occultantem che sarebbe evocativo di osculantem. Nella sezione conclusiva del contributo, che è relativa alla “pragmatics”, si mette giustamente in luce come molte tecniche oratorie ciceroniane presuppongano “the audience actively involved in his arguments”: tra questi espedienti retorici vanno indubbiamente annoverati l’ironia, le domande retoriche, l’iperbole.

Il saggio di Keith Hopwood, Smear and spin: Ciceronian tactics in De lege agraria II, che è apparentemente il meno coerente col tema complessivo del volume, mira ad offrire un quadro articolato della complessa situazione politica e giuridica che porta Cicerone a combattere la legge agraria di Rullo operando un evidente stravolgimento della realtà: quindi per dirla con H. si tratta di “partisan oratory in action” (p. 76), che opera accreditando un’immagine di sé come vero popularis, e delegittimando il suo avversario Rullo anche attraverso un’abile descrizione del suo aspetto fisico degradato (analisi a p. 82) e un’elaborata analisi del potere degenerato dei decemviri, cui si può assimilare chiunque come Rullo aspiri ad una supremazia personale, e che quindi costituisce il vero nemico del popolo, perché toglie potere alla plebs. In conclusione H. osserva che la complessa tecnica oratoria di Cicerone dovrebbe essere costantemente tenuta presente anche dagli studiosi di storia antica, che dalla seconda orazione De lege agraria traggono tutte le loro notizie sulla proposta di Rullo.

Il contributo di Catherine Steel, Name and shame? Invective against Clodius and others in the post-exile speeches, presenta un interessante approccio relativo all’uso del nome proprio nelle orazioni: in particolare l’indagine verte sulla figura di Clodio nelle orazioni post reditum, poco studiate e sottovalutate, secondo la S., che, attraverso la sua analisi dell’omissione o della presenza del nome proprio, fa emergere una sottile e raffinata strategia apologetica da parte dell’oratore. Non potendo seguire tutto il filo del suo ragionamento, mi limito a segnalare che, per esempio, mi sembra molto acuta la discussione di p. 110 s., che vede nella genericità delle formulazioni la volontà di affermare che l’esilio di Cicerone ha rappresentato non un caso personale, ma una minaccia per tutta la res publica. Inoltre è dato significativo (vd. p. 116) che Clodio nelle orazioni post reditum diventi “the unnamed enemy” , un personaggio cui si allude più che citarlo direttamente, forse per una strategia di cauto attendismo nei confronti di un avversario ancora temuto: qualche osservazione utile in questo senso già in J. Nicholson, Cicero’s Return from Exile. The Orations Post reditum, New York 1992, saggio non presente in bibliografia. Il gioco allusivo di omessa citazione del resto può trovare un’interessante conferma, a mio parere, in un’opera molto più tarda come i Paradoxa Stoicorum, dove viene apostrofato un ignoto avversario, che assume in sé tutte le caratteristiche di Clodio, che diviene quindi così il Nemico per eccellenza (come per es. ai paragrafi 17 s. e soprattutto paragrafi 27 ss.). E del resto potrebbe essere utile anche il confronto con un’invettiva acerrima come l’ Ibis ovidiana per comprendere come anche il dire o il non dire il nome del nemico possa assumere una particolare valenza ‘intimidatoria’, come dimostrano per esempio i vv. 9 nam nomen adhuc utcumque tacebo e 51 Et neque nomen in hoc nec dicam facta libello.

Segue un contributo di Byron Harries, Acting the part: techniques of the comic stage in Cicero’s early speeches : l’analisi di H. non manca d’interesse, ma non sembra essere completamente e coerentemente armonizzata col tema della raccolta, giacché d’invettiva in senso stretto non si tratta, quanto di rapporto tra scena e tecnica oratoria e delle riflessioni sul ruolo del teatro comico presenti in passi dei trattati retorici ciceroniani. In relazione all’interscambio tra teatro e oratoria in generale, un esempio da non sottovalutare poteva inoltre venire da Terenzio, i cui prologhi sono stati spesso messi in relazione proprio con la tecnica oratoria e forense, come osserva, tra gli altri, S. M. Goldberg, Understanding Terence, Princeton 1986, specialmente 40 ss.

Nella sezione introduttiva del contributo di Ingo Gildenhard, Greek auxiliaries: tragedy and philosophy in Ciceronian invective, troviamo quei riferimenti al linguaggio dell’invettiva e alla commedia che ci saremmo aspettati nel precedente saggio di Harries.2 G. intende invettiva nel senso più ampio del termine, come sinonimo di convicium, e, per cogliere il complesso intreccio ciceroniano fra realtà politica e humus culturale derivata dalla tradizione filosofica greca e dal teatro tragico, nel suo denso saggio si serve di tre specimina : il primo è la trasformazione di Clodio, nell’orazione De haruspicum responsis paragrafi 37-39, in un monstrum la cui ascendenza letteraria pertiene alla sfera dell’empietà e del furor tragico (non a caso viene confrontato con Atamante e con i matricidi della tradizione tragica). È difficile poter dare conto nei particolari di analisi così riccamente articolate, che mirano a dare spessore ideologico a quelle che potrebbero apparire semplici invettive, pur arricchite da riferimenti mitologici o letterari: per esempio nel capitolo dedicato all’ in Pisonem intitolato Cicero in search of a lost theodicy G. individua “the key themes” dell’orazione in poena e supplicium, e un duplice scopo, discolparsi e punire i suoi nemici, esaltato dal continuo ricorso alla synkrisis (interessante in questo senso la rappresentazione del proprio esilio come una devotio : vd. p. 155 e n. 17).3 La strategia ciceroniana viene analizzata con stimolanti osservazioni, che testimoniano una composizione studiata e articolata secondo una precisa progressione, che sembra culminare (vd. p. 160 s.) nelle citazioni tragiche (paragrafi 43-44) da Ennio, introdotte dalla famosa espressione Thyestea execratio : il sostrato letterario non basta però a spiegare, secondo G., la tensione morale ciceroniana che aspira a validità universale attraverso un accorto ricorso ai fondamenti della filosofia greca, platonica in particolare. La terza sezione del saggio analizza attraverso un passo di una lettera ( Att. 7, 11, 1) l’atteggiamento ciceroniano verso il monstrum Cesare, qui paragonato prima ad Annibale, e poi contrapposto al sistema ideale di valori platonico, ridisegnando la dignitas tradizionale romana con l’aiuto della filosofia greca: un modo d’approccio che ricorre soprattutto nel De officiis, dove del resto l’azione ‘tirannica’ di Cesare trova sostegno in quattro citazioni dal teatro tragico latino,4 collocate in punti nodali della trattazione e a sostegno delle proprie idee morali.

L’ultimo saggio di R. L. van der Wal, dal titolo ‘What a funny consul we have!’ Cicero’s dealings with Cato Uticensis and prominent friends in opposition, tende ad ampliare il concetto d’invettiva in senso stretto, sottolineando come anche in altre orazioni in riferimento ad ‘amici’ Cicerone usi tattiche argomentative, che combinano abilmente battute di spirito non offensive e analisi dell’ethos: esempi molto convincenti sono tratti dalla Pro Murena, nel valutare la presentazione di figure come Servio Sulpicio Rufo e soprattutto Catone, emblematico esempio di come Cicerone fosse capace di adattare il suo ragionamento alle circostanze e al pubblico. Per chiarire la posizione critica ciceroniana verso Catone nella Pro Murena, vengono esaminate le successive prese di posizione nei trattati e nelle lettere: la conclusione è (p. 193) che le critiche a Catone non hanno “the deeper impact that true invective has”. Nella Pro Caelio si osserva quello che potremmo definire un intrigante ‘gioco delle parti’, giacché Cicerone si trova costretto a dover abilmente dribblare tra questioni presenti e passate difendendo un avversario scomodo, legato comunque all’ambiente di Clodio e Clodia e che in qualche modo era stato irretito perfino dal fascino di un antico nemico come Catilina.5 Clodia diviene il bersaglio della critica ciceroniana, che si tinge d’invettiva nella nota prosopopea di Appio Claudio: ancora una volta Cicerone si serve dell’ethos negativo di un suo avversario per guadagnarsi la fiducia della corte e per ergersi a difensore degli interessi dei boni.

In conclusione, un utile ed interessante volume, corretto nella forma e con ricchi indici finali,6 nel quale le diverse metodologie dei saggi contribuiscono a mettere in luce la complessità delle strategie retoriche di un oratore come Cicerone, capace di coniugare ironia pesante, degna della commedia e del mimo, con lo spessore etico che gli deriva dalla sua formazione filosofica e dal suo ruolo attivo di intellettuale al servizio della politica.

INDEX

Joan Booth: Introduction: man and matter, pp. IX-XIV.

1. J.G.F. Powell: Invective and the orator: Ciceronian theory and practice, 1-23.

2. Robin Seager: Ciceronian invective: themes and variations, 25-46.

3. Javier Uría: The semantics and pragmatics of Ciceronian invective, 47-70.

4. Keith Hopwood: Smear and spin: Ciceronian tactics in De lege agraria II, 71-103.

5. Catherine Steel: Name and shame? Invective against Clodius and others in the post-exile speeches, 105-128.

6. Byron Harries: Acting the part: techniques of the comic stage in Cicero’s early speeches, 129-147.

7. Ingo Gildenhard: Greek auxiliaries: tragedy and philosophy in Ciceronian invective, 149-182.

8. Rogier L. van der Wal: ‘What a funny consul we have!’ Cicero’s dealings with Cato Uticensis and prominent friends in opposition, 183-205.

Notes

1. E’ un tema che anch’io ho sviluppato in un mio lavoro edito nello stesso anno con considerazioni analoghe: Scenografie per un ritorno: la (ri)costruzione del personaggio Cicerone nelle orazioni post reditum, in G. Petrone-A. Casamento (a cura di), Lo spettacolo della giustizia: le orazioni di Cicerone, (Palermo 7-8 marzo 2006) Palermo 2007, 119-137 (in particolare sul ritorno di Pisone, vd. 128 s.). Del resto anche altri saggi contenuti nel volume miscellaneo ora citato sviluppano problematiche affini a quelle affrontate nel volume curato dalla Booth a testimonianza dell’interesse comune di studiosi di diversa formazione per Cicerone oratore e per la tematica dell’invettiva e del suo linguaggio: citerei in particolare G. Petrone, Incrocio di fabulae nell’orazione contro Pisone.

2. Alla bibliografia segnalata alla n. 2 di p. 175 da aggiungere ora almeno lo studio di M. Leigh, The “Pro Caelio” and comedy, CPh 99, 2004, 300-335.

3. A proposito della n. 17, noterei che il tema della devotio riferito alle orazioni post reditum non è solo nel saggio di Goar, ma è affrontato anche in altri studi: ricordo in particolare W. Wimmel, Ciceros stellvertretendes Opfer. Zum Text der Oratio cum populo gratias paragrafo 1, WSt 7, 1973, 105-112, e soprattutto il recente A. Dyck, Cicero’s Deuotio: the Rôles of dux and Scapegoat in his post reditum Rhetoric, HStClPh 102, 2004, 299-318.

4. Sul ruolo delle citazioni tragiche, acciane in particolare, utili confronti si leggono in G. Petrone, L’Atreo di Accio e le passioni del potere in S. Faller-G.Manuwald (Hrsg.), Accius und seine Zeit, Würzburg 2002, 245-253.

5. A proposito di questo punto e di altre analisi presenti nel saggio, credo che sarebbe stato importante tenere conto dell’ottimo quadro della Pro Caelio che si legge in un capitolo del volume di E. Narducci, Modelli etici e società. Un’idea di Cicerone, Pisa 1989, 189-225.

6. Ho notato solo un piccolo refuso degno di nota: nell’Index of Personal Names, p.208, s.v. Accius leggiamo Didascalia invece di Didascalica, come correttamente pubblicato a testo a p. 132.